Debutto della Officina Teatrale Laav al Teatro del Giullare questa sera, alle ore 21, con il celebre testo di Tennessee Williams
Questa sera, alle ore 21 debutta al Teatro del la nuova produzione di L.A.A.V. Officina Teatrale “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams, nella traduzione di Gerardo Guerrieri. Il dramma in due atti, che vede in scena Antonella Valitutti, Emilio Barone, Gianni D’Amato, Marina Napoli e Valerio Elia, ha la regia di Licia Amarante e Valerio Elia, mentre la scenografia è firmata da Monica Costigliola ed Angelo de Tommaso con i costumi Gina Oliva. “Il dramma è memoria, quindi irreale: la memoria si concede molte licenze poetiche, omette particolari e altri ne esagera a seconda dei valori emotivi degli oggetti sui quali si posa”. Lo spettacolo inizia e finisce con le stesse parole, con la stessa immagine: il riflesso di pezzi di vetro. È un singolo istante che penetra con forza nell’Io di Tom e vivifica il ricordo del suo passato familiare, quello da cui è fuggito. Prende forma una dimensione psichica entro cui è il protagonista stesso a ricostruire il ricordo, a plasmare la proiezione di un mondo che non è quello reale, ma quello vissuto: l’immagine della sua casa si distorce fino a ridursi alle trasparenti geometrie della scenografia entro cui vivono non personaggi, ma fantasmi artefatti di un passato rimosso, mai del tutto. Quello di Williams è un gioco tutto costruito su simboli: un marinaio che prende il mare per fuggire i ricordi ma sa che “la più grande distanza tra due punti non è lo spazio, è il tempo”; una madre Capitano di una nave che affonda; una ragazza il cui unico bene sono il suoi animaletti di vetro, sogni fragili, prigionieri e impossibili. Siamo negli anni ’40, uno spaccato d’epoca in cui ben si riconoscono i meccanismi semplici e inesorabili che regolano la vita di uomini e donne. Laura non si fidanzerà con l’unico visitatore che abbia mai ricevuto. Il suo destino è segnato, dal suo handicap e dalla sua condizione di donna. Tom, in quanto uomo, riesce a fuggire ma non a lenire la propria solitudine, il proprio senso di colpa. Una drammaturgia dai meccanismi perfetti che pare nata direttamente dalle assi del palcoscenico. Gli attori non devono far altro che lasciarsene risucchiare, farsi “di vetro”. Non per questo il compito è meno difficile: quelli di Williams sono personaggi che urlano, che esigono robustezza, spremuta d’anima.