Evento musicale questa sera, al Teatro Augusteo per le celebrazioni del settantennale di Salerno Capitale. In quel settembre del 1943 gli americani sbarcarono a Salerno e, con essi, sull’Italia soffiò il vento del jazz. La musica della swing craze, che ascolteremo questa sera dalla United States Naval Force Europe Jazz Ensemble è legata alla presenza delle prime truppe americane, per essere precisi al primo carro armato con una dubbia stella bianca dipinta sulla corazza e scompare non soltanto con la loro presenza fisica e militare sul territorio italiano, ma con il loro “tempo”. La giornata inizierà in mattinata con il Console generale, la signora Barrosse, e l’Ammiraglio Philip Davidson, comandante della Flotta Nato del Mediterraneo in giro per la nostra città sulle tracce e nei luoghi di quegli anni, a cominciare dal Comune di Salerno e dal Museo dello Sbarco. Nel pomeriggio il concerto che proporrà una scaletta composita che cerca di omaggiare un po’ tutti i band leader dell’epoca, da Count Basie con One o’ clock jump a Tommy Dorsey, con il quale cantava “the voice”, Frank Sinatra ( si diceva che la sua calda ed ammaliante voce fosse l’imitazione del trombone del conductor), con song quali “J’ve got you under my skin”, “Come fly with me”, e ancora “The very thought of you” portata al successo da Bing Crosby ma, nel sentire dei jazzofili, nella versione della cornetta di Bix Beiderbecke che accompagnava Doris Day o l’esecuzione sofferta di Lady Day, e ancora l’orchestra di Benny Goodman con il suo clarinetto protagonista in Don’t be that way, la famigerata ballata di Mackie Messer di Kurt Weill, simbolo della voce di Louis Armstrong e il suo sarcastico passaggio di semitono ascendente. Il piatto forte della serata sarà, naturalmente, il portrait di Glenn Miller, musicista simbolo dello sbarco quanto il boogie, con il celebrato In The Mood, divenuto un vero e proprio inno della libertà nel mondo, colonna sonora della fine della guerra e di un’epoca, e simbolo dell’inizio di un’altra era, quella della libertà. Per essere più esatti, il sogno, l’illusione della libertà. Questo sogno, questa illusione permise alla muscolatura Italia di ricostruire le proprie macerie, il proprio “Domani”. L’era dello swing la si fa terminare con la morte del maggiore Glenn Miller, l’ormai popolarissimo direttore dell’orchestra dell’Aeronautica statunitense, caduto nelle acque della Manica in un giorno del dicembre 1944, con l’aereo che lo portava dall’Inghilterra alla Francia. Fu proprio la sua musica ad arrivare per prima in Europa, attraverso i famosi “V” discs, al seguito delle truppe americane. In the Mood, un boogie woogie che si potè ascoltare nella colonna sonora del film Sun Valley serenade e Moonlight Serenade, con quel loro inconfondibile suono ottenuto con l’impasto delle voci dei clarinetti e dei sassofoni, furono musiche che servirono a far capire agli europei che la guerra era veramente finita. Una formula del tutto nuova nelle orchestre da ballo dell’epoca, consistente nell’esposizione della linea melodica da parte di clarinetto e sassofono tenore nello spazio di una sola ottava, su di una stratificazione armonica prodotta dalle altre ance e dagli ottoni con sordina: era una dance band di lusso, come amava dire il leader, splendida nell’esecuzione delle ballads e carica di un forte potenziale dinamico sui tempi rapidi. Ora, chi voleva, da questa parte dell’Atlantico, poteva anche scoprire, o riscoprire, il jazz, quello ritmato e un po’ melenso dell’ “era dello swing”, e quello degli anni Venti, che ascolteremo, questa sera rappresentato da “Yes Sir, that’s my Baby”. Gli europei, che a queste cose si interessavano, si buttarono sui “V” discs e, quindi, sulle prime incisioni regolari disponibili, per fare una scorpacciata di jazz. Inghiottirono in un sol colpo anni di musica e cercarono di capire. Forse, trovandosela dinanzi tutta insieme, poterono comprendere meglio degli americani che cosa era stata la musica swing, e che cosa, di tutto quanto era stato registrato negli anni della “swing craze”, valesse la pena di essere ricordato e conservato. Gran finale con un brano altamente simbolico: Sing, sing, sing ! composto da Louis Prima nel 1936. E’ questa la pagina voluta da Benny Goodman per chiudere la scaletta dello storico concerto del 16 gennaio 1938 alla Carnagie Hall. Il jazz in quella data sbarcò nel tempio della musica classica, con un’orchestra composta da rappresentanti di tutte le minoranze che avevano fatto nascere questo genere, unitamente all’America. Bianchi, neri, ebrei, creoli, italiani, sud-americani, lanciarono uno dei primi inni di pace, aperto dall’evocazione dei tamburi d’Africa, nello storico a-solo di Gene Krupa, dopo vent’anni di lotta il jazz, musica che come i suoi esecutori, non era stata accettata nella sua terra natale, bandita e disprezzata in mille modi, che ha dovuto, per buona parte della sua storia, cercare di sopravvivere, spiegare e difendere la propria esistenza, poteva lanciare il suo Urklang di libertà, lo stesso messaggio di pace che, dopo settant’anni, ci giungerà dagli strumentisti dello United States Naval Force Europe Jazz Ensemble.
Olga Chieffi