Questa sera alle ore 19, Claudio Brizi ritorna a San Giorgio, ospite della rassegna Natalis Loci, promossa dall’est di Salerno
Di OLGA CHIEFFI
Oggi, nella chiesa di San Giorgio, il protagonista assoluto del secondo appuntamento della rassegna Natalis Loci, promossa dall’Ept di Salerno, sarà il claviorgano. È impossibile descriverne in poche righe le immense possibilità come è impensabile, tentare di ripercorrere la storia plurisecolare di questo intrigante strumento. Musicisti come Händel e Balbastre lo suonavano con grande diletto; autori come Dom Bèdos e Kirchner ne fecero oggetto di trattazione; alla sua costruzione si dedicarono organari come Cliquot e Della Ciaia; persino uomini di stato e mecenati come Enrico VIII, Lorenzo il Magnifico, Alfonso II d’Este e Isabella di Castiglia non sfuggirono al fascino del claviorgano e ne possedettero molti esemplari. Gli antichi Maestri vedevano organo e cembalo come complementari. Il claviorgano, estrema sintesi idiomatica, fonica, timbrica e tecnica dei due strumenti, genera alchimie non riconducibili alla semplice somma delle componenti, trascinando esecutore e ascoltatore nell’utopia di un mondo sonoro ideale. I riflettori si accenderanno su questo strumento e sul suo solista, Claudio Brizi, alle ore 19, per un programma che principierà da Johann Pachelbel, per concludersi con il giovanissimo Mozart. Il genio di Norimberga, inaugurerà il programma con la Ciacona, una forma musicale legata alla danza, che affonda trasversalmente le sue radici in epoche e mondi lontani, in cui la linea del basso si ripete sempre identica offrendo alle parti superiori il pretesto per inventare figurazioni sempre nuove. Si passerà quindi ad un altro brano celeberrimo, la Toccata con lo Scherzo del Cucco di Bernardo Pasquini, aperta alle ingegnosità delle successioni armoniche atte a rischiararne il rinnovato clima sonoro, seguita dalla vetta mirabile dell’intero corpus di sonate per la liturgia eucaristica di Domenico Zipoli che è la Pastorale, ricca di cromatismi. L’omaggio a Johann Sebastian Bach principierà con il Concerto in la minore BWV 593, una delle trascrizioni dall’Estro Armonico di Vivaldi. Non si tratta, naturalmente di un meccanico adattamento, né della pura riduzione del materiale musicale alle esigenze della tastiera: Bach interviene semmai aumentando le parti, arricchendo la polifonia, rafforzando e ornando la melodia, inserendo elementi contrappuntistici e intelligenti varianti, utilizzando l’elegante stile italiano con rispettosa libertà.Seguirà il Preludio al Corale “Nun komm der Heiden Heiland” BWV 659 si basa su di una melodia ornata, cantata al soprano nel registro di solo, circondata dalle serene parti del contralto e del tenore, mentre il pedale si muove in lente e solenni scale. Lungi dall’essere una “sintesi” dell’arte organistica di Bach, la Toccata e fuga in re minore BWV 565, con cui si chiuderà il portrait bachiano, è un lavoro giovanile, scritto probabilmente all’epoca del suo soggiorno a Weimar, se non addirittura prima. Dal punto di vista formale, essa manifesta la piena adesione ai modelli della scuola tedesca del Nord, e in particolare a quello di Buxtehude, il quale aveva praticamente codificato un tipo di Toccata nella quale dominano la giustapposizione di episodi privi di concatenamento, l’inserzione di una serie di fugati e di passaggi virtuosistici relativamente isolati, o comunque ben distinti dal resto della composizione. Bach, in fondo, segue lo schema, ma lo fa con un’economia di mezzi che contrasta, paradossalmente, con l’effetto monumentale di quest’opera. L’articolazione è in tre parti: la prima è la Toccata vera e propria, nella quale Bach alterna lenti recitativi, arpeggi e progressioni improvvisamente più rapide, testimoniando l’impostazione inventiva e rapsodica della composizione; la seconda è una Fuga priva di complicazioni polifoniche, ma proiettata invece verso una semplificazione “concertante”, cioè verso una scrittura più moderna. Si procederà, quindi con il celebre Fandango di Padre Antonio Soler, uno dei primi a trarre linfa dalla cultura letteraria e dalle tradizioni musicali popolari iberiche. Chiusura affidata alla Sonata in Do Maggiore a Quattro Mani K 19 d, di Wolfgang Amadeus Mozart, in duo con Luigi Vincenzo. Scritta per un clavicembalo con due tastiere, questa sonata è davvero sorprendente in un bambino di soli nove anni. Il primo movimento è stilisticamente affine all’opera italiana del tempo, mentre il più sorprendente è il terzo movimento, Rondò briosissimo e con inserito, prima della conclusione, un episodio in tempo lento.