E’ scomparso a 107 anni una delle massime figure dell’arte italiana. Lo ricordiamo vicino alla nostra città ospite della Fondazione “Filiberto Menna”
Di Olga Chieffi
“Non posso prevedere il futuro, né mi permetto di giudicare gli altri – ha affermato Dorfles – ma vi posso assicurare che la passione di dir male dell’arte c’è sempre stata e continuerà ad esserci”. Indelebile nel nostro ricordo il motto di Gillo Dorfles che con queste ironiche parole venne qui a Salerno a festeggiare i suoi cento anni, con gli amici di sempre, il direttivo della Fondazione “Filiberto Menna”, Tomaso Binga alias Bianca Pucciarelli Menna, Angelo Trimarco, Stefania Zuliani, il suo allora giovane e valente allievo, Antonello Tolve, Rino Mele, le incursioni alla Fornace Falcone, a creare ceramiche nel Prato del Paradiso e ieri, a dodici giorni dal suo centottesimo genetliaco, con tanti nuovi progetti in cantiere, la inattesa notizia della scomparsa, nella sua Milano, di un uomo che aveva sempre saputo “guardare” oltre, con lo sguardo nobile e quell’ eleganza di altri tempi, che lo ponevano ad altezze inimmaginabili per la nostra società popolata dai nuovi barbari. Tutta l’opera di Gillo Dorfles, grande protagonista del pensiero italiano ed europeo si pone sotto la cifra dinamica del divenire: per la mobilità con cui, spesso in netto anticipo, ha indagato correnti artistiche e campi del sapere; per la tempestiva, vorace curiosità intellettuale; per la capacità costantemente rinnovata di decifrare i materiali che via via si propongono nel tempo alla sua attenzione. Diversissimi i campi della sua indagine sempre lucidissima e dirompente. Ad esempio, il rapporto uomo-natura in cui l’arte è sempre artificio, giungendo all’annosa questione che solo l’uomo deve essere lo scopritore dell’opera d’arte in natura, con il suo personale “artificio”, che può essere anche e solo il suo pensiero a renderla arte; la dirompente VIII Biennale d’ Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto, che si svolse dal 5 luglio al 28 agosto 1969, intitolata “Al di là della pittura”, cui si ritrovarono fianco a fianco il nostro Filiberto Menna e Gillo Dorfles, che presentava le principali esperienze extrapittoriche del momento per promuovere, tempestivamente e senza ambiguità, un confronto tra più linguaggi e, in particolare, un incontro-scontro tra Arte Povera-Concettuale, sorte da poco, e la dominante Arte Tecnologica, una esposizione in cui dalla specificità, ancora legata ai canoni tradizionali, si approdava all’ibridazione e alla nuova creatività, caratterizzata da lavori più concettuali, performativi e interattivi, eseguiti con materiali eterogenei e procedimenti inusuali, spesso relazionati allo spazio espositivo e all’ambiente reale. Il suo marchio di fabbrica resta sicuramente la riflessione sul kitsch, che Dorfles ha avuto il merito di introdurre nel paradigma della critica d’arte italiana, e che stigmatizza il cattivo gusto in quanto “cattiva bellezza”, i sogni borghesi nutriti di mediocrità ed eccesso: la società di massa è la società della felicità, il diritto alla felicità equivale al diritto alla bellezza per tutti, a un piacere estetico le cui modalità non sono più stabilite dal suo artefice, bensì dal consumatore. Dunque, il kitsch sono i paesaggi artificiali, i souvenir e le vacanze e il turismo in senso generale, ma esiste anche un “Kitsch della ragione”, favorito dalla banalizzazione e dalla generalizzazione, dal dominio di segni universali che veicolano messaggi standardizzati, buoni per tutti i contesti. Basilare il dialogo con i suoi giovani studiosi, ricordiamo Gillo assieme ad Antonello Tolve, in uno svisceramento dell’assunto dell’intervallo, racchiuso in uno dei suoi fondamentali volumi, quale è “Discorso tecnico delle Arti”, e ancora, il suo rapporto contrastato con Benedetto Croce, ritornando sulla tematica tecnica e arte, sino a giungere alla miocinesia nell’arte d’oggi, con il grande triestino, che ha individuato nei collassi della ragione o nei flussi dello sgrammaticato la rivincita di un potere magico e mitico centrale nella produzione artistica di ogni tempo. Immenso il critico, pari l’artista. Testimone diretto della temperie artistica del Novecento, Dorfles si dedica alla pittura già dalla prima metà degli anni Trenta, partendo da composizioni surreali con una tecnica usata dai maestri del Quattrocento, la tempera grassa all’uovo. Da subito la sua pittura – definita “organica” e “vagamente surreale” – risulta slegata da qualsiasi schematismo geometrico e dalle regole precostituite di uno sterile astrattismo. La sua opera pittorica, infatti, trae la sua ragion d’essere dall’intima necessità di manifestare le immagini che gli affiorano alla mente e di visualizzare le espressioni consce e inconsce che gli si affacciano. Nel 1948 è tra i fondatori del MAC (Movimento Arte Concreta) del quale è uno dei principali esponenti e di cui indaga con particolare sensibilità le teorie artistiche. A partire dal 1958 l’insegnamento, gli studi di estetica e critica d’arte e l’intensa attività di scrittore lo inducono a una progressiva diminuzione dell’attività pittorica. È il periodo in cui si sviluppano movimenti come l’informale, la pop art, l’arte povera che, per quanto interessanti agli occhi di Dorfles come critico d’arte, risultano molto distanti dalla sua sensibilità di pittore e lo inducono ad allontanarsi dalla scena artistica cui ritornerà solo dopo gli anni Ottanta. Riappare lo stesso mondo immaginario di Dorfles, popolato da forme pure e primitive derivate da un repertorio già delineato nel passato. Nuovi esseri poliformi, a metà tra mondo animale, umano e vegetale, riemergono in un perenne processo di evoluzione. La linea rimane protagonista assoluta degli inverosimili percorsi dettati solo dalla fantasia, dunque dalla natura interiore dell’artista a ulteriore conferma che quella di Dorfles è una pittura libera e istintiva e che, come tale, incuriosisce e sorprende. L’opera pittorica di Gillo Dorfles, è tutta pervasa da una rara capacità di coinvolgere lo spettatore nel piacere di cercare e ritrovare in essa quel misterioso mondo interiore che è in ciascuno di noi e che, distratti come siamo da superficiali sollecitazioni esterne, purtroppo tendiamo a dimenticare; lavori intriganti e stimolanti che ci riconducono alle essenze della vita, a percezioni lontane vissute a livello conscio e inconscio, con sorprendente, compiaciuta e immutata curiosità.