Questa sera al Teatro Verdi di Salerno, alle ore 21, la “prima” del balletto di Cajkovskij con le étoile Anbeta Toromani e Alessandro Macario
Olga Chieffi
Questa sera, alle ore 21, sul palcoscenico del teatro Verdi, verrà vissuta la “prima” del balletto “Lo Schiaccianoci” di Peter Ilic Cajkovskij, affidato al balletto del Teatro San Carlo di Napoli con due étoile d’eccezione Anbeta Toromani, che cederà il ruolo a Claudia D’Antonio sabato 28 e Alessandro Macario che avrà quale cover Salvatore Manzo per la prima replica, i quali saranno interpreti della versione coreografica di Lienz Chang. Opera innovativa Lo Schiaccianoci, datato 1892, per la modernità dell’assunto e per le implicazioni di ordine psicologico e sentimentale della vicenda. Esso discende da un racconto di E.T.A. Hoffmann, “Lo Schiaccianoci e il re dei topi”, pubblicato nel 1819 nei “Fratelli di San Serapione”, ma non direttamente, bensì nella versione di Alexandre Dumas. In origine è un racconto misterioso, un po’ magico e “nero”, a dispetto del suo singolare favolismo. Come balletto, perdette subito le connotazioni pericolose, ma non la sua sostanza letteraria che gli ha assicurato un interesse continuo e un duraturo stimolo alla volontà di capirne le ragioni più segrete. Il balletto racconta la storia di una bambina e dei suoi sogni: la piccola si chiama Clara, ha un fratello dispettoso di nome Fritz ed è figlia di un ricco signore, Sthlbaum. E’ la vigilia di Natale, grande festa dei ragazzi. Un singolare personaggio, metà mago e metà inventore, Drosselmeyer, dopo aver animato bambole meccaniche – ecco il gusto degli automi, caro a Hoffmann, (cfr.Coppelia) – regala a Clara uno “Schiaccianoci” in forma di soldatino. Clara si addormenta con il suo giocattolo in braccio e sogna. Nella stanza divenuta magicamente grande, i giocattoli si animano, i soldatini sfilano in parata, ma ad un tratto esce dal sottosuolo un esercito di topi, guidato da un re da incubo. Lo schiaccianoci guida i soldatini in battaglia, ma viene sconfitto: lo salva Drosselmeyer ed ecco che il buffo giocattolo si trasforma in un radioso e bel principe. Sotto un cielo trapunto di stelle, Clara e il Principe partono, allora, per un viaggio fatato nel regno dei confetti. La meravigliosa avventura rende donna Clara, che, tuttavia, tornerà alla realtà poco dopo, svegliandosi col suo schiaccianoci in grembo. E’stato un sogno, ma nulla sarà più come prima. Quest’opera oscilla tra magia e verità, e rivela a poco a poco il carattere della fanciulla avviata a maturare , attraverso incubi e felicità deliziose. E’ proprio il passaggio dalla mentalità di bambina a quella di una adolescente innamorata che rende strepitosamente bello il personaggio di Clara. D’altro canto, il deus ex machina Drosselmeyer ha in sé le funzioni di guida e di illuminante consigliere. La distruzione dell’universo infantile avviene attraverso i mezzi propri a questo mondo, e fatalmente la storia si colora anche musicalmente di invenzioni adulte. Realistico nel ritratto di famiglia borghese di modello tedesco, lo Schiaccianoci sorride alla vita dei nuovi giovani. Il principe azzurro, a differenza di quello della “Bella addormentata”, può essere una qualsiasi creatura evocata dal desiderio. E’ l’uomo dei sogni e l’uomo del cuore. Con lui Clara, come ogni ragazza, inventa la sua destinazione nella vita, che sembra fatta apposta per incantare e forse anche per illudere. Il coreografo Ivanov seppe mettere a frutto in modo eccezionale gli insegnamenti di Petipa, sia nelle scene domestiche come nella battaglia fra i soldatini e i topi; e manovrò il corpo di ballo femminile nel sogno con grande sapienza, entrando con gusto e fantasia in un divertissement caratterizzato e gioioso. Cajkovskij ha creato pagine mirabili, usando anche strumenti nuovi, come la celesta, anche la suite dal balletto eseguita in concerto ha sempre goduto di una grande popolarità. La varietà dei colori, l’uso abile degli strumenti, la qualità dei ballabili, sono simbolo di quale magistero il maestro russo avesse raggiunto in questa forma di spettacolo teatrale. Giunto ai lidi estremi della fantasia e della invenzione, questo balletto è specchio di quel tipo di società apparentemente allegra dell’Europa danubiana, che danzava i valzer di Strauss e si beava nei tabarin. L’ultima grande corte europea, quella degli zar di Russia, celebrava i suoi fasti ignara dei tragici destini che l’attendevano, non c’erano guerre e pareva che davvero il mondo potesse aver raggiunto pacifiche armonie, sia pure a spese dei popoli inferiori, colonizzati in modo sovente brutale. Al ritmo del valzer si andava ottimisticamente verso il paradiso in terra, una illusione che le fiabe confermavano con pervicace intensità, ma che di lì a poco sarebbe stata infranta dal rombo dei cannoni.