di Antonio Avella
Se in Italia il 25 aprile si voterà – ormai è chiaro a tutti – affinché nulla cambi, a Salerno le elezioni si preannunciano drammatiche per la tenuta democratica del Capoluogo e della provincia. Un sistema ormai bloccato, ibernato da una legge elettorale che proporrà come candidati personaggi noti e in parte impresentabili, selezionati da circa dieci persone in tutta Italia, in una città come Salerno finirà per irrobustire una classe dirigente, che non è più né meno di una società commerciale, gestita dai titolari di un pacchetto azionario saldissimo nelle mani di una potente famiglia, quella di Vincenzo De Luca. Il PD, che ormai è una confederazione di interessi lobbistici, ha inviato recentemente come commissario in Campania Francesco Boccia, al fine di recuperare i fili di una almeno formale dinamica politica del maggiore partito della sinistra. L’ossequio che Boccia, come primo atto della sua nomina, ha riservato al “padrino” di Santa Lucia fu già molto sospetto, ma qualcuno confidava nel prezzo da dover pagare alla forma. Invece, non è così. Tra i nomi che il PD ha indicato per le candidature sicure, alla Camera e al Senato, vi sono – nell’ordine – quelli del “pargolo” Piero De Luca, della signora Eva Avossa, del fido vice presidente della Regione, Fulvio Bonavitacola e, a seguire, altri dodici nominativi, tutti di sicura appartenenza al “clan” familiare del presidente della Regione. Ovviamente l’indicazione dei candidati non ipoteca l’esito, perché alla fine saranno pur sempre gli elettori a votare. La bocciatura sonora di Piero De Luca nelle precedenti elezioni politiche lascia intravedere una dose residua di orgoglio civico e di patriottismo democratico, ma il dato che emerge è ugualmente allarmante in un partito che, a livello nazionale, sostiene di voler allargare gli ambiti di partecipazione a sinistra. Si nega, infatti, al corpo elettorale di pronunciarsi su indicazioni decorose e tutto si decide da una postazione rigidamente centralizzata che nessuno spazio e ruolo riconosce a quel che resta di iscritti e simpatizzanti.
Peraltro la estrema finzione di Letta chiude o limita i ponti con la sinistra e stringe un patto con il neoliberista Calenda, nel tentativo, certamente infruttuoso, di svuotare di consensi Forza Italia. Trasferita in contesti locali come quello di Salerno, la scelta si traduce in una operazione suicida. Nella provincia, con grandi sforzi, D’Alessio & C. si sono impegnati, negli ultimi due anni, nella costruzione di un discorso progressista autonomo rispetto al PD padronale, quindi antagonista con le destre. Un tentativo locale interessante di costruire un “terzo polo” capace di offrire un’alternativa a un elettorato che da anni non vota in libertà, anestetizzato per vittimistica scelta, pur di non disancorarsi dal clientelismo deluchiano, trasformatosi ormai in un parassitismo paralizzante e medievale. Ora quell’esperienza di Azione salernitana viene travolta dall’arrivo in pompa magna (certamente vi sarà per lei una postazione blindata in un listino ultrasicuro) di un personaggio come Mara Carfagna, che ha distrutto nel tempo l’esperienza del centrodestra a Salerno, prosciugandolo di ogni energia valida, pur di poterlo controllare. L’ex valletta, divenuta parlamentare, leader e ministro della Repubblica per due volte, non riuscirebbe, in un sistema proporzionale, con tanto cioè di voto di preferenza, con ogni probabilità, a mettere insieme i suffragi per diventare consigliere comunale in una città come Salerno. E ora, invece, le elezioni più inutili e ingannevoli della storia democratica, la ripoteranno a Roma come parlamentare, grazie a un sistema illiberale e antidemocratico, che non tiene in alcun conto il lavoro politico di quei pochi che hanno operato realmente sul territorio.
Dietro la ritualità goliardica della campagna elettorale, non c’è davvero una strada praticabile. Andremo pertanto a votare per nulla e affinché tutto resti come prima. E già, perché anche a destra la situazione resta bloccata dai nomi di sempre; Cirielli e Iannone blindatissimi, ovviamente, con l’ex rettore Tommasetti che rispunta nella Lega, dopo sonore bocciature; nemmeno nello schieramento dato per favorito da pronostici e sondaggi, d’altra parte, è accaduto nulla di significativo negli ultimi anni. Quando il centrodestra ha avuto ruoli di governo, non ha dimostrato di avere le capacità per canalizzare produttivamente il consenso. Chi non ricorda, a Salerno, la presidenza della Provincia affidata a Cirielli, se non per un delirante turnover di assessori? Ne cambiò più di trenta in un quinquennio, nel tentativo di elargire contentini temporanei ai detentori dei pacchetti di voti: l’istituzione piegata al disegno di un partito e di un uomo.
Un contesto così dequalificato eticamente non potrebbe reggersi, e soprattutto non avrebbe potuto proliferare per così lungo tempo, a destra come a sinistra, senza un esercito di fiancheggiatori. Una responsabilità in tal senso va attribuita soprattutto all’ “informazione col bavaglio” che, nel tentativo di oscurare i veri problemi della regione che sono di enorme drammaticità, informa quotidianamente su quote, nomi, indiscrezioni, candidati probabili e tanto gossip pre-elettorale. Oltre al caso del maggiore quotidiano campano, che è governativo per tratto genetico e storia, quindi prono a ogni potere di qualsiasi colore, basti l’esempio del TGR campano, diventato ormai il Tg del Mulino Bianco: feste, percorsi turistici, happening, musiche sparse su monti e colline. Mai un’inchiesta, nemmeno per sbaglio, e zero notizie degne di questo nome, al netto di qualche comunicato delle Procure di Napoli e di Salerno, dei carabinieri o della polizia. Eppure, in Campania si muore di disoccupazione e di veleni ambientali. I roghi tossici sono sempre lì, nelle province di Napoli e Caserta, e gli sversamenti abusivi proseguono indisturbati, anche in provincia di Salerno. È del 2018 un rapporto della Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato sulla “Terra dei fuochi”, che attesta il nesso tra inquinamento dei suoli e incidenza delle malattie tumorali di vario tipo. Legambiente, nel suo rapporto del 2021, conferma la gravità del momento e presenta i dati sul “nulla di fatto”, in questi anni, di azioni in grado di affrontare il problema, al di là di una pletora di fumosi rapporti e analisi dell’Arpac. Emergenza, quindi, censurata da tutti i programmi informativi e politici, così come nulla si dice della tragedia della Sanità, che vede la Regione Campania contribuente maggiore delle altre Regioni italiane per il pendolarismo sanitario ormai insostenibile. In tale situazione, appare davvero incomprensibile la decisione di un parlamentare serio e consapevole come Nicola Provenza di gettare la spugna. La città lo mandò alla Camera, approdo negato a Piero De Luca, per chiedergli di lavorare a un’alternativa, che di fatto non c’è stata. Poteva almeno provarci ancora.