Lina Wertmuller e l’albero del Macbeth - Le Cronache
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Lina Wertmuller e l’albero del Macbeth

Lina Wertmuller e l’albero del Macbeth

di Olga Chieffi

Al Sud che Lina Wertmuller amava tanto crediamo ai numeri, alle coincidenze, a certe date e ci ritroviamo a ricordarla attraverso la sua regia di quello splendido Macbeth andato in scena al teatro Verdi di Salerno nel 2016, all’ indomani dei fischi indirizzati a Livermore per il capolavoro verdiano che ha inaugurato la stagione scaligera. Lina Wertmuller è sempre tornata con piacere qui in città, in costiera, sin dai celebrati anni ’70, tanti gli intellettuali a lei vicina, tra cui una su tutti Maria Giustina Laurenzi. Proprio in binomio con la Laurenzi ricordiamo un’attivissima Wertmuller sul palcoscenico del Teatro Augusteo nel marzo del 2003, con gli allievi del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno. Il direttore del tempo, Pasquale Pinna, unitamente al docente di esercitazioni orchestrali Antonio Sinagra, produssero un interessante spettacolo, El retablo de Maese Pedro di Manuel De Falla in napoletano, che divenne “’O teatrino ‘masto Peppe” e un’operina originale “L’ avventura spericolata di don Quijote», scritta e diretta dalla Wertmuller, con le musiche di Antonio Sinagra, una produzione in sinergia con l’Accademia di Belle Arti di Napoli e il liceo artistico salernitano, proprio per “insegnare ai giovani ad aver dimistichezza con l’arte e fornir loro le armi per questi mestieri di bellezza”. Lina è poi ritornata a Salerno, per firmare il Macbeth nell’anno celebrativo dei quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare, evento clou di quella stellare stagione del 2016, che la vide affiancata da Daniel Ezralow per le coreografie e sul podio, dalla bacchetta di Daniel Oren. Tutti sanno che la principale difficoltà di realizzazione di questo titolo consiste proprio nelle apparizioni soprannaturali, dove è caduto Livermore: l’ombra di Banco nel banchetto e il corteo degli otto re nella caverna delle streghe. Ecco l’idea di quell’albero che, con i suoi rami fiorenti e con le sue radici che promettono, comunque la continuazione, illuminato da una luna che veglia impassibile sulla tragedia, dominava la scena. L’albero simbolo della vita in tante culture e religioni. L’albero nascondiglio delle streghe, preferito dal maligno, testimone archetipico della grande sfida tra il bene e il male, elemento semplice e universale che permette di unire il passato, il favolistico, biblico, il presente e il futuro. La Wertmuller e il suo staff lasciarono fare tutto all’albero, una vera e “passaporta”, di potteriana memoria da cui tutto nasce e che tutto inghiotte, il sogno di mamma di Lady Macbeth, che quasi inseguiva un inafferrabile “monacello”, e, naturalmente, le streghe di Daniel Ezralow, splendidamente in linea con la regia, adattatesi al risicato spazio a loro disposizione, che scuotevano, provocavano, con i loro manti, nebulizzando, verità, menzogna e invenzione. Il suo desiderio era tornare per la regia di un’opera comica, magari il Don Pasquale e per il 2019 il suo nome aleggiava tra le mura del nostro massimo. Il segno è stato lasciato in tutti noi, attraverso il suo sguardo, le sue lenti “kantiane”, bianche, un’eredità non solo di bellezza e arte, ma di pensiero e continuo lavoro alla ricerca dell’ altro, dell’oltre.