di Oreste Mottola
“Sil”, pieni di meraviglia, esclamarono i Celti quando dai Picentini si affacciarono e videro la grande massa d’acqua del fiume sotto i loro occhi. Da qui viene il nome, Silarus per i romani, e Silaro e poi Sele, per noi contemporanei. Sil, vuol dire “Grande massa di acqua”. E oggi? “Il Sele è un fiume che scompare”, denunciano da Contursi e dintorni. Nonostante le nevi e le piogge di quest’annata meteorologicamente eccezionale. La neve che è ancora tanta sui nostri monti e le piogge abbondanti faranno sì che d’acqua nell’alveo n’avremo davvero tanta. “Arriveremo a fine luglio”, prevede Sabino Aquino, il presidente del Parco Regionale dei Picentini. Nell’Alto Sele da anni protestano gli agricoltori e i termalisti. Denunciano come fossero 300 i litri il secondo dell’acqua del Sele che l’Acquedotto Pugliese, su spinta dell’allora ministro Alfonso Pecoraro Scanio, si era impegnato a restituire quale “minimo deflusso vitale”, la quantità necessaria a far vivere il fiume, poi la “promessa” è calata a 200, poi ne sono stati dati appena 100 che adesso si stanno pure riprendendo indietro. Storie d’acqua prima per bere e così vivere. Quella del Sele noi la regaliamo ai nostri vicini, quelle del Molise e del Lazio, dalle quali si approvvigiona Napoli, invece la dobbiamo pagare. Alla guida dell’associazione “Amici del Sele” c’è il pittore Lello Gaudiosi. Il fiume è la sua madeleine proustiana. Ha cominciato ad amarlo già quando da bambino seguiva sua nonna Rosaria, una delle lavandaie delle Terme che sulle “strecature” delle pietre del fiume lavava le lenzuola che i clienti degli alberghi avevano usato. “Ho capito solo dopo che siccome ci venivano i rampolli dei Cirio, i figli di Achille Lauro e i vescovi questo era già un luogo alla moda. A conquistarmi però fu il suono del fiume. Vedere questi “signori” che poi prendevano la loro cesta ed andavano a pescare. E compravano i prodotti dei nostri contadini e le trote fario dai pescatori di Quaglietta”. Da quindici anni Gaudiosi si batte perchè ai“valligiani” venga restituita una parte importante delle acque del grande fiume che dai primi anni del Novecento ha cambiato il corso anche di altre 5 regioni meridionali. “Il Sele è il Nilo dell’intero sud Italia”, sottolinea Franco Comentale, agricoltore – sindacalista di Buccino. Gaudiosi propone anche piccoli invasi che possano ridare ai valligiani una percentuale minima dei 15 mila litri il secondo che sono inghiottiti dagli acquedotti. “Già al Cantariello, tra Quaglietta e Calabritto, vediamo morire i pesci per la mancata ossigenazione determinata dalla grave carenza idrica. Larghi tratti sono poi già preda dell’eutrofizzazione”, denuncia Gaudiosi. Da più di un secolo l’acqua del Sele è stata utilizzata per la più grande opera di solidarietà della storia meridionale: per dar da bere alla Puglia assetata. Oggi la Puglia, tra gli invasi lucani sull’Ofanto, i grandi potabilizzatori e la diga di Conza della Campania, scoppia d’acqua. E si permette di costruire nuovi alberghi sulle coste. La nuova lotta di Lello Gaudiosi è vedere l’Acquedotto Pugliese restituirci almeno una metà di quell’acqua. “Si rivitalizzerebbe l’Alta Valle del Sele e si porrebbe un freno all’erosione delle nostre spiagge”. Gaudiosi chiama Bassolino e Vendola: “Se davvero sono di sinistra s’impegnino per un atto di giustizia”. Il FIUME Montagne piovose e nevose, immerse in boschi sterminati ci regalano le chiare, fresche e dolci acque del fiume Sele. Ad Acqua delle Brecce ed al Cerasuolo vengono fuori qualcosa come 4000 litri d’acqua il secondo. Ci sono, o per meglio dire, c’erano, le sorgenti Senerchiella e del Cantariello. Quell’acqua raggiunge 260 comuni. Posto sia vero come: ”Altissima quaeque fluma minimo sono labi”, più i fiumi sono profondi, con minore rumore scorrono, così come dice l’adagio classico, bisogna dire che il Sele è ormai muto. E’ un fiume della memoria. Di acqua, verso valle, non ne scorre più. E quando l’acqua è poca non ne risentono solo le povere “papere”, che continuano a non galleggiare. Presso Caposele è ancora attiva una peschiera, ultima struttura sopravvissuta di una tradizionale attività d’allevamento ittico, che, nel secolo scorso, era diffusa in tutta la Valle. Non c’è acqua a sufficienza? Languono le attività umane, tutte, che dal consumo dell’acqua traggono motivo d’esistenza. Storie annose. Già all’inizio del Novecento l’acqua del Sele tutto è già deviata verso la Puglia, poi l’acqua se ne va verso le città della costa salernitana. Il resto lo fa la siccità, ormai endemica e frutto delle modificazioni climatiche, che ha ridotto del 40% la portata delle acque che cominciano già a raccogliersi tra i due colli del Montagnone di Nusco, ma diventa quello che è presso la ricca sorgente del Paflagone, presso Caposele. Le esigenze, dell’agricoltura della Piana del Sele, come delle zone turistiche litoranee, nell’ultimo decennio, sono cresciute a dismisura. “E l’Alta Valle del Sele muore di sete”, denuncia Lello Gaudiosi, elegante pittore – professore, quasi un dandy inglese, presidente dell’Associazione “Amici del Sele”. I conti sono facili da fare. Quattromila litri al secondo li preleva l’Acquedotto Pugliese, che non rispetta l’obbligo del rilascio in alveo di 500 litri ed ha elaborato un progetto per portare in Puglia altri 9000 litri. Altri duemila litri, nella zona di Quaglietta, li canalizza l’Asis, già Acquedotto del Calore e Montestella, tanto quanto, nei periodi di siccità, è la portata delle sorgenti captate. Ci sono poi i fabbisogni degli stabilimenti termali di Contursi. I disagi, oltre che nella zona alta della provincia, si avvertono già a Persano. Alla traversa della diga i Consorzi di Bonifica in Sinistra e Destra Sele, concessionari di una portata di 14, 5 metri cubi il secondo, si devono accontentare di meno della metà. “Che senso ha- continua Gaudiosi – mandare d’estate l’acqua pregiata della sorgente del Cantariello alla costa cilentana? I villeggianti la usano per sciacquarsi dopo il bagno a mare. Gaudiosi era tra quelli che voleva che i cilentani usassero l’acqua dell’Alento. Gaudiosi non si arrende. E’ andato a trattare finanche con la Regione Puglia. Da solo non può fare niente. “Napoli beve con le acque che vengono dal Molise e dal Lazio. Gli conviene lasciare ai pugliesi il Sele e la diga di Campolattaro. “Ignoramus et ignorabimus”, non sappiamo e non sapremo mai se questo patto scellerato sia o più o meno in corso. Quel che sappiamo è che l’assalto generalizzato alle acque del Sele produce una produce una profonda alterazione del regime idrologico dell’intero bacino che, nell’Alto e Medio Sele, determina la perdita delle caratteristiche di corso d’acqua perenne”, dice. La soluzione è semplice da enunciare, più difficile da praticare. Dal “consumo” dell’acqua si dovrà passare all’uso, da regolare con un vero e proprio “contratto” così come propone Concetta Mattia, consigliera comunale di Caposele.