Il libro di Raspini & Rossi, edito da Cairo, sarà presentato da Giulia Ambrosio ed Erminia Pellecchia domani sera alle ore 18 nella chiesa di Sant’Apollonia
Di OLGA CHIEFFI
Il buon vivere in società ha costituito un ambito di riflessione molto frequentato da letterati e filosofi di ogni epoca e civiltà. La storia ci insegna che ogni mutamento nella struttura sociale si propaga anche alla sfera dei costumi, richiedendo a sua volta un continuo aggiornamento delle regole che distinguono il buono dal cattivo gusto. Nel corso degli ultimi secoli le regole del “saper vivere” e delle “buone maniere” hanno subìto un cambiamento radicale, come si può apprendere dalle opere più significative che sono state scritte su questo tema. Nei periodi in cui le trasformazioni appaiono accelerare e i timori e le incertezze aumentano, poiché sembrano mancare i tradizionali riferimenti sociali, si sentono minacciate o disorientate le singole soggettività e i segnali comunicativi sembrano confusi, occorre ripercorrere i significati del proprio essere nel mondo, dell’esservi in relazione con altri e altre, per imparare che senso abbia per ognuno il divenire donna o uomo nel contemporaneo.
“L’eleganza del rospo” manuale postmoderno di buona educazione e cattivi pensieri, in libreria per le edizioni Cairo, scritto da una coppia improbabile di amici genialoidi, Giovanni Raspini e Francesco Maria Rossi, architetto e designer dell’omonimo brand di gioielleria il primo; giornalista, scrittore e cabarettista il secondo, toscani, anzi aretini DOC, che avremo ospiti domani sera, nella Chiesa di Santa Apollonia, dove ospiti della Bottega San Lazzaro, intavoleranno, intorno alle ore 18, un sapido dialogo con le giornaliste Giulia Ambrosio ed Erminia Pellecchia, non è che un antipasto della polposa radioscopia molto divertente, cum grano salis della società moderna, legati a un filo rosso tripartito, dato da acume, sfrontatezza e grande ampiezza di vedute. Il taglio toscano lo riconosci alla prima battuta: riesce a tenerti inchiodato alla pagina, dicendo le cose come stanno e a dirle, a tratti, sorridendo a denti stretti. I temi, spesso, divengono vere e proprie provocazioni intellettuali, si impongono come sguardo lungimirante, coraggioso, imperterrito, avverso ai dictat della contemporaneità. Sia che si discerna sull’invasione delle labbra a canotto, o sulla scelta del vasellame per la tavola, capitolo in cui è consigliato di passare da Solimene a Vietri, o si frequenti un maneggio o il campo da golf o si discerna sul passaggio dalle riunioni in ufficio alle colazioni di lavoro, all’ “happy hour”, alle serate danzanti, o del senso dell’ospitalità dall’assegnazione dei posti, fino al modo di apparecchiare la tavola e di usare le posate, con un excursus sul vino e l’uso dei bicchieri, l’obiettivo è di recuperare il tempo, lo spazio, ma in primis il silenzio. “…Ogni qualcosa è una celebrazione del nulla che la sostiene”, scrive John Cage in Silence, ne deriva che la ricerca del silenzio, cui ci invitano Raspini & Rossi, ci permetterà di essere di nuovo noi stessi, poiché il silenzio delle cose, nelle cose, nei nomi, nei suoni che non sono ancora stati scritti hanno connaturati parimenti e in assoluto la durata, il tempo e lo spazio. Scorrendo il libro se ne avverte il chiaro monito: a rompere il guscio d’isolamento, che non è materiale ma una volontaria reclusione dell’io. La passione non è la cecità di lasciarsi prendere da un’urgenza, ma patire, cioè vivere profondamente e dare spessore alla storia, alle emozioni, ponendo un freno al frenetico correre, in modo da fermarci a riflettere su noi stessi, poichè l’uomo è libero e vive in quanto trascende con il proprio pensiero la stessa vita immediatamente vissuta, quando pensa la Vita.