La realizzazione di una rete di circa 20 km di canalizzazioni e un sistema di 11 enormi vasche di raccolta costatooltre 400 milioni di euro, quasi 2,5 la spesa iniziale prevista di 161 milioni di euro e oggi, causa il vuoto legislativo, sonolasciati senza senza manutenzione e ostruiti da fango, terreno e dove si sono accumulati rifiuti di ogni genere. Appare inoltre evidente come il solo ricorso al mero calcolo idraulico per la realizzazione delle opere e degli interventi di mitigazione non è più sufficiente ma anzi potrebbe rivelarsi addirittura controproducente.
La denuncia arriva da Legambiente che a vent’anni da quel 5 maggio del 1998, quando un immane disastro spazzò via i comuni campani di Sarno, Siano, Quindici, Bracigliano e San Felice a Cancello, causando la morte di 160 persone– di cui 137 nella sola cittadina sarnese – ha presentato il dossier “Fango – il modello Sarno vent’anni dopo”.
Un approfondimento peranalizzare le cause di quella tragedia, le conseguenze e gli sviluppi giuridici, ma soprattutto per capire cosa è successo in questo lungo lasso di tempo; quali sono state le soluzioni messe in campo per fronteggiare il rischio – non solo nelle aree interessate ma più in generale nell’intero Paese – e se le cause che hanno contribuito all’amplificazione della tragedia sono state estirpate o meno.
Appare subito evidente che Sarno ha insegnato poco o nulla a un paese, l’Italia, che com’è noto presenta un elevato rischio sia idrogeologico che sismico. Fenomeni franosi, smottamenti e esondazioni interessano ben l’88% dei comuni italiani (sono 7.145 classificati a elevato rischio) e solo per fronteggiare i danni provocati da questi eventi estremi, tra il 1944 ed il 2012, sono stati spesi circa 61,5 i miliardi di euro. Secondo i dati di “Italia sicura”, il nostro Paese è anche tra i primi al mondo per risarcimenti e riparazioni dei danni da eventi di dissesto: dal 1945 l’Italia paga in media circa 3,5 miliardi all’anno.
Rispetto a questo scenario la Campania si inserisce in maniera lineare nella complessità della situazione: sono 503 (il 91%) quelli in cui ricadono aree classificate a elevato rischio idrogeologico; territori dove convivono con il rischio oltre 544mila persone . La provincia più a rischio è quella di Salerno dove sono esposti quotidianamente al rischio 214.371 persone (il 39,4% della popolazione a rischio della regione), seguita dalla provincia di Napoli (149.865 persone pari al 27,5%), Caserta (77.208 abitanti pari al 14,2%), Avellino (70.533 pari al 13%) ed infine Benevento (32.313 pari al 5,9%).
«La tragedia di Sarno ha fatto da spartiacque in Italia anche rispetto alla legislazione in materia, ma purtroppo ci ha insegnato poco – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. C’è ancora una forte discrepanza tra le evidenze, la conoscenza, i danni, le tragiche conseguenze del rischio idrogeologico nel nostro Paese e la mancanza di un’azione diffusa, concreta ed efficace di prevenzione sul territorio nazionale.
A vent’anni da quella tragedia è ormai evidente che occorre un approccio diverso basato su politiche urbanistiche e territoriali di adattamento al clima per ridurre gli effetti devastanti che frane e alluvioni continuano ad avere sul nostro territorio, come ad esempio la delocalizzazione degli edifici più a rischio. Ma serve anche un’efficace azione di prevenzione che passa inevitabilmente attraverso la diffusione di una cultura della convivenza con il rischio, attraverso piani comunali di emergenza di Protezione Civile adeguati e aggiornati e attività di formazione e informazione per la popolazione sui comportamenti da adottare in caso di allerta».
Nel dossier di Legambiente viene messo in luce come le piogge che si erano abbattute in quelle ore su quei territori, seppur intense, non erano tali da giustificare un disastro del genere. Cos’è allora che ha contribuito all’innescamento di una colata di circa due milioni di metri cubi di fango? Forse il fatto che le pendici delle montagne nell’area di Sarno erano state soggette a continui incendi nel corso degli anni (nel censimento del 1990 fu registrato un calo della superficie boschiva rispetto a otto anni prima del 13,4%); oppure che i canali di impluvio della montagna erano quasi completamente scomparsi. Già nel 1993 Legambiente aveva denunciato il rischio di frane che incombeva su tutta l’area.
Non ha giovato sicuramente il fatto che quella che era l’oasi felice dell’Agro sarnese-nocerino, in piena Campania Felix, è stata negli ultimi cinquant’anni una terra martoriata dal sacco edilizio e dall’abusivismo edilizio.
Le stesse dinamiche e le stesse cause che avevano agito in passato sono continuate e perpetrate fino ai giorni nostri. Negli ultimi 20 anni, nei comuni di questo comprensorio, sono state oltre 27mila, secondo le stime delle forze dell’ordine, le persone denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10% della popolazione residente. Inotto dei comuni dell’Agro (Angri, Bracigliano, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Sarno, Scafati, Siano e Roccapiemonte) a seguito dei tre condoni (L. 47/1985, 724/1994 e 269/2003) Legambiente ha censito ben 24.420 richieste di sanatoria: sostanzialmente una nuova città di medie dimensioni tutta da rimettere in regola.
I più solerti i cittadini di Sarno che hanno presentato 6.386 richieste. Tenuto conto che la popolazione sarnese residente si attesta da anni sui 31mila abitanti, praticamente 1 cittadino su 5 ha chiesto di essere “condonato”. Negli stessi comuni sono state infatti emesse 4091 ordinanze di demolizione negli ultimi dieci anni e di queste risultano eseguite appena l’uno per cento.
Vista l’elevata pericolosità presente sul territorio e l’effettiva lungaggine dei tempi per realizzare le opere necessarie a mitigare il rischio idrogeologico a livello regionale, Legambiente nel dossier ha effettuato anche un monitoraggio per misurare il livello di trasparenza, accessibilità e sensibilizzazione dei piani di protezione civile nei 39 comuni del Bacino del Sarno.
“Il piano di protezione civile è uno strumento necessario per la corretta pianificazione e gestione dell’emergenza e dovrebbe essere uno strumento largamente diffuso e conosciuto dalla popolazione, ma non è affatto così – sottolinea Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania -. La nostra indagine, effettuata sui siti istituzionali dei comuni dell’area, evidenzia che solo in 14 di questi, pari al 35%, il piano è immediatamente visibile e accessibile in home page. Nei restanti comuni il link non esiste o non è facilmente individuabile.
Insomma, è tutt’altro che semplice per un cittadino conoscere i rischi del proprio territorio e come portarsi in caso di pericolo. E non c’è nessun alibi per le amministrazioni campane, visto che sono state beneficiarie di oltre 15 milioni di fondi comunitari destinati alle emergenze idrogeologiche con gli strumenti di prevenzione: piani di emergenza, strutture operative comunali, attività di informazione e addestramento delle comunità. Questo non è più possibile perché come dimostra la tragedia di Sarno e le tante altre che si sono succedute in questi ultimi vent’anni, si paga sempre con gli interessi quello che ieri abbiamo trascurato».