Domani alle ore 20, la rassegna Racconti del Contemporaneo, ospita una serata in onore dell’artista, con interventi di amici, immagini e proiezioni
Di OLGA CHIEFFI
Riflettori accesi su Sergio Vecchio, domani sera a Palazzo Fruscione. Amici e artisti si riuniranno alle ore 20, sotto l’egida dell’Associazione Tempi Moderni, per continuare il racconto dell’artista, interrotto a febbraio dello scorso anno. La locandina annuncia i nomi: dal moderatore Paolo Romano, agli eminenti relatori, Alfonso Andria, Paolo Apolito, Francesco D’Episcopo, Lella Di Leo, Rino Mele, Franco Tozza, a quello del figlio Marco, centroscena che avrà un compito gravoso, quello di dar corpo alla scrittura artistica di Sergio, sulle immagini che testimoniano la sua vita artistica e privata, scattate e raccolte da Antonio Caporaso, Jacopo Naddeo, Pino Latronico, Angelomichele Risi ed Enzo Cursaro, una serata che si concluderà con la proiezione di un breve filmato a cura di Mario Marius Mele, che evocherà le opere delle stanze dell’eremita, ovvero l’ala destra dell’ex-fabbrica della Cirio di Paestum, popolata da dee, cavalli, nottole, cani, bufale, uccelli, simboli del mito, con i quali, quelle pietre e lui stesso, convivono e dialogano da sempre. Il 2018 si è concluso nel segno di Sergio con la retrospettiva a lui dedicata nel museo archeologico di Paestum “Nel luogo del racconto”, dove si tocca con mano l’essenza della pittura dell’artista. Per un’altra settimana ancora si potrà godere e immergersi nel percorso artistico di Sergio Vecchio, sin dalle prime prove di, ormai, cinquant’anni fa, uscendo dal museo con la convinzione che ci proviene da Goethe, che la caccia all’essenza di ogni essere animato o inanimato è ben oltre il contesto, il segno o la forma, ma è nella sostanza che, nel nostro artista, ha particolari fondamenti, che gli provengono da una genealogia culturale di grande spessore. Se “La teoria della metamorfosi è la chiave per tutti i segni della natura” sosteneva Goethe, affermazione che trova illustri precedenti filosofici e letterari per esempio nel De Rerum Natura di Lucrezio e nelle Metamorfosi di Ovidio, che considera inoltre gli organismi in movimento e in trasformazione già nella loro forma, gli animali di Sergio, ne sono protagonisti, nella loro storia, nei loro colori, nei loro sguardi antichi, in un intreccio di elementi del mondo greco classico e del mondo contemporaneo, intriso di scetticismo e crisi di civiltà. All’ arte, dunque, il compito di fornire dei viaggi fantastici e onirici, tra elementi che appartengono alla memoria individuale e storica, attraverso cui la pittura, diviene scavo del ricordo personale e di una natura “originaria”, o dell’età primordiale, permeata dal mito e dalla sapienza poetica, che ingentilisce l’interpretazione magica e divinatoria del mondo. Sergio ripensa il mito, l’antico, la tradizione classica attraverso la modernità dell’avanguardia e della citazione, translandoli e reinterpretandoli per tentare di rispondere ai grandi enigmi dell’uomo contemporaneo, dando vita ad una vera e propria mitologia moderna. La questione non viene a porsi all’insegna della ripresa, mimesi, replica, riproduzione: gli occhi trasformatori di Vecchio guardano al classico sottraendogli il peso di canoni e rigidi schemi: lo sottopongono a completa revisione. La fenomenologia del classico entra, con dirompente energia, nella galassia del contemporaneo. Essa lo accoglie, senza più peso, per produrre accordi imprevisti, combinazioni inattese, instaurando un movimento dialettico con esso, all’insegna della duttilità, della metamorfosi permanente, dell’invenzione. Il mito e il territorio, il luogo, il topos, che entrano così con prepotenza nel progetto di Sergio, compongono una figura programmatica, sintomatica, della soluzione di pensiero e di stile dell’artista, in una creazione che contiene tra le pieghe della narrazione, la verità, la ragione, un mondo ideale, nuovo e “buono”.