Dopo una lunga anticamera, sono riuscito ad ottenere un incontro con San Matteo, grazie ai buoni uffici di monsignor Arturo Carucci, che in vita è stato un grande cantore del Santo. Duemila e rotti anni, portati bene, elegante nel suo doppiopetto bianco, barba bianca fluente ma curata, l’Evangelista mi accoglie cordialmente nel suo austero studio nell’imponente edificio, sede della Ragioneria del Paradiso. Nella monumentale libreria è in bella mostra una copia del suo Vangelo, che gli ha fatto vendere milioni di copie in tutto il mondo. Ai computer una schiera di angeli e arcangeli registrano senza posa i peccati e le buone azioni che ogni giorno vengono commessi nel mondo. Il grande vecchio mi invita a sedere e un solerte cherubino mi offre una coppa della sua “manna” prelibata, che una volta veniva raccolta nella cripta del duomo. Incominciamo l’intervista con il pubblicano, gabelliere di Cafarnao, assurto ad Apostolo di Cristo.Pochissimo sappiamo della sua vita. Ad esempio, l’itinerario della sua evangelizzazione? Se ha subito il martirio? Ci sono ancora tanti dubbi in proposito. Gli agiografi hanno seguito la tradizione che offre la corona del martirio a tutti gli Apostoli, spesso introducendo nella composizione della leggenda l’influsso di un mito pagano e offrendo al lettore un racconto non sempre veridico. Come tutti gli Apostoli, ho diffuso gli insegnamenti del Salvatore nelle contrade più desolate; poi, stanco e carico di anni, mi sono ritirato a scrivere gli atti e i detti di Gesù, in lingua ebraica. Gli storici hanno stabilito che il Vangelo di Marco è il più antico. Non le dispiace di aver perso questo primato? Nella storia del cristianesimo il mio Vangelo è senz’altro quello più popolare, più letto e commentato. Salerno fra qualche giorno si appresta a festeggiarla con sincero affetto e con la dovuta solennità. Che vuole che le dica: un tempo era la festa della città, la grande occasione per incontrarsi; un richiamo a rigenerarsi nella fede, a riscoprire lo spessore del passato, del vissuto collettivo. Ora, la mia ricorrenza è ridotta a una festa rionale; al solo centro storico. Una volta ai bambini veniva dato il mio nome, anche al femminile, Mattea; adesso, dai genitori gli viene imposto quello dei tronisti. Sono lontani i tempi in cui i commercianti tenevano aperti i negozi e ai balconi venivano esposte le coperte più preziose per onorare il passaggio della processione. E questo, a cosa lo attribuisce? Il fatto è che i salernitani veraci ormai sono una minoranza. Chi è venuto a Salerno negli Anni Sessanta non ha mai sposato le vostre tradizioni, i vostri valori; non ne conosce le radici storiche. Ci abita, come se Salerno non fosse casa sua. Non può negare però che la processione sia un momento di grande partecipazione popolare. Ma è diventata anche una passerella per farsi pubblicità gratuita alle mie spalle. Una volta, le “paranze” erano composte dai lavoratori del porto, ad eccezione della statua lignea di San Giuseppe, prerogativa dei lavoratori del mercato. Farne parte era un privilegio, oltre che una devozione sviscerata, ereditata dai padri. Oggi, a contendersi l’assegnazione delle “vesti” sono per lo più dei giovani desiderosi di mettersi in mostra agli occhi della gente. Lei è il Patrono di “quella città, antica e cara a Dio”, che l’ama con affetto filiale da oltre un secolo. Ci tengo a precisare che sono compatrono di Salerno insieme ai santi martiri Gaio, Ante e Fortunato, i quali non sono né fratelli, né sorelle mie, come crede il popolino. Come giudica l’immagine della “nuova” Salerno? Salerno paga il prezzo delle scelte sbagliate degli Anni Sessanta, quando ha rinunciato alla sua vocazione turistica per inseguire il sogno della città industriale. Oggi, sarebbe stato opportuno riqualificare prima il patrimonio esistente e poi puntare sulle grandi opere e, in ogni caso, le scelte dovrebbero essere “partecipate” e decise dagli abitanti. La scelta industriale è stata figlia della cultura politica nazionale di quegli anni. Non mi dica che è un nostalgico della città “a misura d’uomo”, cantata da Cantarella? E’ anacronistico guardare al passato. Ma una città non dovrebbe perdere la sua identità; dovrebbe essere fatta a misura di chi la vive, con servizi capaci di rispondere ai vecchi e ai nuovi bisogni. La gente, però, non sembra importarsene più di tanto. I vostri concittadini sono più bravi a mobilitarsi per la Salernitana, che non per la giustizia sociale, i trasporti pubblici, la qualità della vita, la tutela dell’ambiente, il lavoro. Non potete negare alla città l’aspirazione a proiettarsi verso un futuro a dimensione europea. La percezione europea la si avverte arrivando a Piazza della Concordia con le bancarelle che vendono panini, “musso di porco”, semenze e lupini e il Lungomare invaso dagli extracomunitari, che spadroneggiano senza controllo. La movida, i crocieristi, le Luci d’artista portano ogni anno migliaia di turisti in città. Attirano un turismo mordi e fuggi, che arreca più disagio che benefici. Bisognava avere coraggio ed insistere invece con i grandi eventi, come le mostre di Picasso e Mirò, che veicolano un turismo d’élite. Le nostre insicurezze e le nostre paure hanno sempre trovato un sicuro rifugio nella Sua vigile e potente protezione; non vorrà mica abbandonarci proprio adesso? Proteggo la vostra città dal 954, quando il mio corpo da Casalvelino fu traslato a Salerno: ma sapeste quanto mi costa! E’ più facile difendere Salerno dalle calamità naturali, che dagli uomini. Un’ultima curiosità: come nasce la credenza di San Matteo che ha due facce ed è amante dei forestieri? Proprio io che nel mio Vangelo riporto l’invito di Cristo a non essere ipocriti “Sia il vostro parlare sì, sì; no no”, devo passare come il santo dell’ambiguità! L’equivoco è nato dalla statua bifronte fusa in mio onore, per aver preservato la città dal terribile terremoto del 5 giugno 1688, collocata sull’altare della cripta. Ma, scrivetelo pure a chiare lettere: San Matteo non ha due facce; casomai è Salerno che cambia faccia, e sempre in peggio. E, poi, è una falsa diceria che io sia amante dei forestieri. Siete voi che siete diventati tutti forestieri nella vostra città!
di Corradino Pellecchia