di Clemente Ultimo
Dai calendari alle etichette, dalle illustrazioni per libri ai manifesti, passando per loghi aziendali e copertine: sono davvero pochi i campi in cui Odïle, nome d’arte di Daniela De Vita, non si è cimentata in veste di illustratrice. Il suo tratto caratteristico si è rivelato in grado di soddisfare le più diverse esigenze, tanto che oggi l’illustratrice salernitana è impegnata su progetti molto diversi tra loro. Ma come è nata questa passione per il disegno, estesasi poi alla ricerca grafica ed iconografica?
“La passione relativa alla grafica credo nasca dai miei studi di Architettura, componente importante all’interno del percorso di studi, e sicuramente anche dei docenti che me ne hanno fatto apprezzare il valore. Poi una buona dose di curiosità scaturita da un regalo ricevuto, dei caratteri tipografici in legno, mi ha portata ad uno studio ulteriore, più approfondito tanto da conseguire un diploma in Grafica e Comunicazione. Così mi sono trovata a confrontarmi in vari ambiti strettamente legati tra lor”.
Una passione che è diventata professione?
“È iniziato tutto in modo casuale, inizialmente disegnavo soprattutto per me e per gli amici, essendo io “quella brava”. Fin da bambina ho sempre seguito corsi di pittura e disegno. Qualche anno fa, poi, è nata Odïle, il mio alter ego, un personaggio che mi ha aiutata a dire cose che non sarei riuscita a fare con le parole. Così, una lettera d’amore si trasformava in una illustrazione o un fumetto. Quando ho capito che piaceva anche agli altri ho deciso di dover fare un salto. Ho iniziato a studiare, seguire workshop e, soprattutto, un corso di illustrazione che mi ha aperto gli occhi e dato basi fondamentali”.
In molti credono che realizzare un’illustrazione o una grafica sia un lavoro tutto sommato semplice, basta saper disegnare. In realtà che lavoro c’è a monte di ogni tua realizzazione?
“Fattore comune ad ogni tipo di lavoro è decidere il messaggio che vogliamo trasmettere, cosa dobbiamo dire, a chi è rivolto. Non si inizia mai direttamente con uno schizzo su un foglio, una buona parte del lavoro preliminare è cercare fonti, studiare sull’esistente. Ad esempio, se devo illustrare una storia i primi passi saranno, ovviamente, la lettura della stessa e la scelta dei punti – per me – salienti da rappresentare, poi passo a definire uno storyboard e a quel punto inizio con la fase di ricerca delle reference. Segue allora una fase più o meno lunga di bozzetti, fogli volanti, appunti sparsi che mi aiuteranno alla stesura finale”.
Negli ultimi mesi alcuni tuoi lavori sono stati incentrati sulla città di Salerno, grazie anche ad alcune collaborazioni nate sul territorio. Di cosa si tratta? Come “leggi” in immagini la città?
“I “miei” luoghi sono fonte infinita di ispirazione, forse perché in molti casi vi è associato un ricordo, un’esperienza. Luoghi a cui sono profondamente legata e di cui ho anche una approfondita conoscenza che mi rende facile trasformarli in una visione fantastica, quella che poi mi caratterizza. Rispecchiano il mio rapporto con la città, sono sempre immagini sognanti, a volte drammaticamente romantiche, come un amore tormentato. Mi sono divertita molto nella realizzazione di una mappa illustrata della città, commissionatami per delle shopper: dovevo, con pochi tratti, immaginare di descrivere Salerno a chi non la conoscesse con personaggi, luoghi e caratteristiche. Stesso ragionamento vale per il progetto a cui sto lavorando in questo momento, sintetizzare per immagini la storia e le vicende dell’Opulenta Salernum per gli occhi di un bambino”.
Nelle scorse settimane è stato presentato l’albo illustrato dedicato alla Madonna che viene dal mare, interamente illustrato da te. Una gran soddisfazione ma, immagino, anche una grande fatica.
“Certo, una gran fatica, ma ripagata con un lavoro finale di cui sono molto fiera. Nell’ambito dei festeggiamenti del Centenario dell’Incoronazione di Maria SS. Di Costantinopoli si è pensato di raccontare la storia di uno degli eventi a cui i salernitani sono più legati anche con una modalità meno istituzionale. Grazie a don Felice Moliterno ed alla sua capacità di sposare una proposta caratterizzata da un “linguaggio” più vivo e dinamico del solito questo è stato possibile. Il testo adattato da Marco Pio D’Elia è stato edito da Saremo Alberi. Confesso che la difficoltà maggiore è stata già solo pensare di dover illustrare la Madonna “a modo mio”, non avrei mai immaginato di dovermi confrontare con un personaggio così illustre! Forse anche grazie al mio stile, però, sono riuscita a renderla dolce e delicata quanto merita. In questo caso il lavoro di ricerca iniziale è stato interessantissimo e molto intenso: manuali, breviari e bestiari medievali, mappe antiche e studio degli abiti dei personaggi. In lavori del genere è fondamentale la ricerca”.
A tuo giudizio qual è la dote principale che deve possedere un illustratore?
“La tecnica da sola non basta. Se non abbiamo nulla da trasmettere ogni segno sarà fine a se stesso. Importante è anche la sintesi, il nostro lavoro si basa principalmente su illustrazioni che devono raccontarci una storia anche in una sola tavola. E poi la capacità di vedere cose dove gli altri non riescono, è quello che ci distingue e fa si che con la nostra matita riescano a vederlo tutti. L’immaginazione è la nostra linfa vitale”.
Un consiglio per chi inizia a confrontarsi con questa professione?
“Essere testardi, caparbi. Purtroppo la professione di illustratore qui da noi (al Sud soprattutto) è ancora un’idea difficile da comprendere. Ancora troppo spesso quando dico che sono un’illustratrice mi sento rispondere “ah sei un grafico, ah fai fumetti”. Quindi non demordere, anche nei momenti di sconforto, e andare sicuramente avanti. Non aver paura di ricevere dei “no”. Ma soprattutto studiare, leggere, osservare. Cercare e curiosare sempre”.