Le gemme della musica da camera al Teatro Verdi - Le Cronache
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Le gemme della musica da camera al Teatro Verdi

Le gemme della musica da camera al Teatro Verdi

Continua questa sera, alle ore 20, la stagione concertistica con il Quartetto del Teatro alla Scala che incontrerà il pianista Dario Candela

Di OLGA CHIEFFI

Vigilia della premier di Tosca con una serata di grande musica da camera. Stasera, alle ore 20, il teatro Verdi di Salerno, ospiterà, infatti il quartetto d’archi del Teatro alla Scala, composto da Francesco Manara e Daniele Pascoletti, al violino, Simonide Braconi alla viola  e Massimo Polidori al violoncello, che incontrerà il pianista Dario Candela. Il programma verrà inaugurato dal quartetto di Ludwig Van Beethoven in Fa maggiore op. 135, appartiene a quel gruppo di composizioni che si collocano nel cosiddetto “terzo stile” beethoveniano, caratterizzato da una visione trascendentale dell’esistenza. L’opera, citata nel romanzo di Milan Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, composta nel 1826, sei mesi prima di morire, si distingue per il carattere sereno e riflessivo, scevro da forti contrasti tematici e dinamici. Il brano, consueto nell’articolazione dei suoi quattro movimenti, forma sonata, scherzo, tempo lento, finale, potrebbe apparire come un ritorno al passato dopo una serie di ardue sperimentazioni; di fatto, invece, il passato è negato sin dal primo movimento che presenta contrapposte idee tematiche e fraseggi interrogativi tra gli strumenti. Ma è proprio nell’ «Allegretto», che possiamo cogliere quella proliferazione e perdita di funzione degli elementi tematici che costituisce, di fatto, proprio la negazione di quel ritorno al passato. Subito all’inizio si presentano, giustapposte, molte differenti idee, lo sviluppo si basa su entrambi i principali gruppi tematici; una breve coda chiude la pagina, che sembra ispirarsi all’amabilità e alla concisione degli ultimi Quintetti di Mozart. Segue uno scherzo “Vivace” aereo e trasparente, animato da spostamenti ritmici e improvvise sospensioni, con un trio che vede le improvvise scalate solistiche del primo violino. Il movimento lento («Lento assai, cantante e tranquillo») è, con la levigata tornitura del suo tema e la scelta dei registri opachi, una pagina meditativa. Quanto al finale, reca in epigrafe sulla partitura il tema dell’introduzione («Grave») e il suo rovescio, il tema dell’«Allegro», con sotto le parole «Muss es sein? Es muss es sein!» («Deve essere? Deve essere!»). Si tratta del materiale tematico e delle parole di un canone inviato, qualche mese prima della stesura dell’opera 135, a un “dilettante” di violino, per invitarlo ad indennizzare con una cospicua somma di denaro il violinista Ignaz Schuppanzigh, detentore dell’esclusiva per l’esecuzione del Quartetto op. 130, esclusiva che il dilettante aveva deliberatamente violato. L’introduzione lenta («Grave ma non troppo tratto», la domanda) si prospetta come meditativa e drammatica, con i suoi ritmi insistiti e le armonie dissonanti. Brusco contrasto quello dell’«Allegro» (la risposta), dove le varie idee melodiche si saldano grazie alla trasparenza e alla levità della scrittura. Il «Grave» riappare nello sviluppo, ma il Quartetto scivola poi verso una conclusione brillante ed umoristica, con un sorprendente pizzicato e una rapida chiusa. E’ questo il congedo sorridente del maestro dall’universo sfingeo degli ultimi quartetti, come anche dalla sua intera parabola compositiva. Gran finale con il quintetto op.57  in Sol minore di Dmitri Shostakovich, datato 1940, che appartiene al difficile secondo periodo della vita del compositore. Ogni sperimentalismo è qui bandito dalla scrittura e l’intento perseguito e pienamente realizzato è quello di fornire un’opera di grande chiarezza, in cui ogni elemento assume una precisa funzione all’interno del contesto, in cui è inserito ma, nel contempo, molto della condotta armonica lascia spazio ad allusioni ed ambiguità, grazie a continui scarti tonali. In ogni caso, il rigore della scrittura rende possibile il raggiungimento di una equilibrata fusione di densità di pensiero musicale, complessità musicale e pathos. L’opera consta di cinque movimenti ognuno dei quali è caratterizzato da temi melodici di potente carattere evocativo. Dopo un Preludio che stabilisce l’atmosfera generale della composizione, una Fuga complessa e molto articolata costituisce la sezione più significativa dell’intero quintetto. Seguono uno Scherzo marcato e virtuosistico, un Intermezzo che prende il posto del movimento lento convenzionale, ed un Finale brillante e di ampia struttura che conclude il lavoro. La felicità dei temi, la scrittura virtuosistica ed il carattere solistico del pianoforte, che mette a prova le capacità dell’interprete, hanno fatto sì che questa pagina sia tuttora una delle composizioni più frequentate del repertorio cameristico di Shostakovich.