Molte ombre sul debutto della formazione creata da Giovanni Di Lisa al teatro delle Arti di Salerno
Di OLGA CHIEFFI
Un adagio dell’equitazione recita: “Cavallo giovane cavaliere vecchio, cavallo vecchio cavaliere giovane”. Un detto, questo che ci è balzato alla mente al primo attacco dell’Orchestra Sinfonica di Salerno “Claudio Abbado”, voluta dall’ex assicuratore Giovanni Di Lisa, la quale ha debuttato sul palcoscenico del Teatro delle Arti, protagonista del concerto inaugurale della sua prima stagione. Un’orchestra giovanile questa, come tantissime che sono nate e stanno prolificando, in Campania, e tra breve saluteremo anche la fondazione della orchestra junior del teatro Verdi di Salerno, già promessa da Daniel Oren, pronte a lanciarsi all’assalto dei finanziamenti europei che già hanno gratificato qualche realtà, anche della nostra provincia. Se l’Ofbn, l’Orchestra Sinfonica di Benevento, guidata da Francesco Ivan Ciampa, maestro già apprezzato in tutta Italia, che ha nella sua bacchetta la scintilla del nostro direttore artistico, ci ha invitato alla stagione Fuoco delle bellissime armonie, con i concerti, “Chiare, fresche, dolci note”, o il “Non finito, perfetto”, l’Ossca ha titolato la sua rassegna, comprendente cinque appuntamenti, tra Salerno e Padula, comune sponsor della formazione, “Musica….eterna bellezza”, con il concerto inaugurale dedicato al “Soave tormento”, con sul podio il ventinovenne Ivan Antonio. Programma altisonante per una formazione di giovani che pur incontriamo spesso tra archi e fiati di orchestre e orchestrine che si esibiscono, in giro, dal Cilento al Vallo di Diano, da Napoli all’avellinese, con il pezzo d’esordio firmato dallo stesso mecenate, l’ouverture del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini e la Sinfonia n°5 in Do minore op.67 di Ludwig Van Beethoven. Due orchestre, dicevamo nel titolo, poiché fiati e archi hanno avuto tre diversi preparatori, il clarinettista, docente del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno Gaetano Falzarano, il violinista Gianfranco Biancardi, docente della nostra massima istituzione musicale e il primo violino Sergio Martinoli, prima di incontrarsi con il maestro Ivan Antonio, il quale non è riuscito ad amalgamare le diverse sezioni, che sono rimaste con l’imprinting dei precedenti conductor. Il brano d’apertura “Il segreto”, fantasia in Re minore op.7, era attesissimo dal pubblico salernitano, essendo firmato dallo stesso patron dell’orchestra. Una pagina che è già settima nel catalogo di questo compositore che segue la linea del patchwork, del mix delle tante melodie del cuore, tra cui abbiamo potuto chiaramente riconoscere, accenni della quinta sinfonia di Ludwig Van Beethoven, il tema slavo de’ Die Moldau di Bedrich Smetana, echi della bagattella in La minore Fur Elise WoO59 sempre del genio di Bonn e l’aria della Follia con qualche accenno di variazione, il tutto sigillato da quattro valzerini da caffè viennese, il cui finale prevede un difficile solo di violoncello, il tutto strumentato da Ivan Antonio. Un sogno, definisce quest’opera Ciro Caliendo che ha autografato le note di sala, un sogno sfilacciato aggiungiamo noi, senza un’idea unica che riunisca questi flash di melodie che sono nel sentire di tutti noi, con giusti “bridge”, per usare un termine jazzistico, in grado di giustificare questa linea compositiva, naturalmente dalla scrittura acerbissima, dilettantesca da parte di Giovanni Di Lisa, che pur sembra piacere in città, perseguita da Antonello Mercurio, che abbiamo scorto in sala, il quale ha già prodotto su questo assunto due operine “La luna nel pozzo” e un remake de’ “La serva padrona”. Chiusa la vetrinetta del mecenate, si è passati all’esecuzione dell’ouverture del Guglielmo Tell. Tempi rallentati per riuscire a portare a termine almeno la lettura della impegnativa pagina, contrasti e colori non pervenuti in sala, purtroppo, anche per l’acustica poco felice dello stesso teatro, disomogeneità delle sezioni, con i fiati ben calibrati, con alcune eccellenze quali flauti e ottavino, corno inglese e su tutti gli impeccabili fagotti, distintisi anche nella interpretazione della sinfonia beethoveniana successiva, addirittura discronia tra cassa e timpani e archi deboli, ai quali non sono bastati due violini eccellenti, quali Sergio Martinoli ed Amleto Soldani e il cello di Raffaella Cardaropoli, per compattarsi e trasmettere quella concentrazione d’energia in grado di far esplodere anime e corpi. Ivan Antonio si è lasciato fagocitare dalla partitura e dall’orchestra anche nell’esecuzione della Quinta Sinfonia di Ludwig Van Beethoven. Ancora tempi ondivaghi, senza la precisione necessaria e il polso fermo per schizzare questo Beethoven titanico, scarno, incisivo, icastico, con rallentamenti evidenti, nelle frasi tecnicamente più macchinose. Ci vuole lavoro, duro e lungo studio per mettere su opere di questa grandezza, per di più con dei musicisti che per la maggior parte si affacciano da breve tempo alla carriera professionale. Bisognerà che per i prossimi appuntamenti tutti, a cominciare dal direttore Ivan Antonio, si adoprino, con tanta umiltà, dall’allestimento del programma al calendario delle prove, affinchè possa manifestarsi un suono puro, scartando da ogni indulgenza, da qualsiasi belluria e individuale vanità.