Una commedia leggera, “La scena”, ennesima prova dell’impegno e della sensibilità di Cristina Comencini sulle questioni femminili è in scena fino a stasera sul palcoscenico del Verdi. La prova di una scena teatrale porta l’attrice Lucia (Angela Finocchiaro) a casa dell’amica Maria (Maria Amelia Monti) una domenica mattina qualunque, occasione perfetta per raccontare due donne molto diverse, due personaggi ben caratterizzati e decisamente realistici: Maria, divorziata, due figli e per sua stessa definizione “donna leggera”, perché gli uomini le piacciono e quando può ci passa la notte versus Lucia, attrice, separata, seria e razionale, quasi glaciale, una perfetta Lady Macbeth in scena e nella vita, due categorie ben definite di donne appartenenti alla piccola-media borghesia. Una commedia in cui una spettatrice qualunque tende a immedesimarsi in entrambe le donne, ecco la ragione dello specchio sul proscenio, ad assecondare a tratti le idiosincrasie dell’una e dell’altra inseguendo la tensione di un dialogo che cresce con il proseguire dello spettacolo, tra due donne che si conoscono profondamente e che le porterà a far luce sulla propria vita attraverso gli occhi dell’altra a capire errori e debolezze che hanno segnato le tappe della loro giovinezza. Il personaggio del “ragazzo in mutande” (Stefano Annoni), giovane ventiseienne che Maria ha accalappiato a una festa la sera prima, si presenta dopo aver dormito nella stanza dei figli di Maria, affidati al padre per il fine settimana. Il giovane scambia Lucia per la donna con cui ha passato la notte, la quale approfitta dell’equivoco e prova a interpretare la parte dell’amica disinibita, Maria arriva quando il fraintendimento è già avviato e decide di stare al gioco, interpretando a sua volta il ruolo della donna moralista. Da questo incontro nasce un triangolo amoroso basato sul gioco delle parti, uno scambio di ruoli che porterà a galla tutte le insicurezze, i rapporti sentimentali falliti, le crisi familiari, le ambizioni soffocate e le delusioni che hanno segnato le tappe della loro vita. Gioco che diventa un tentativo di evasione dal sé, una sorta di spersonalizzazione. L’autrice mette in luce i luoghi comuni che le donne da generazioni non fanno che ripetere a loro stesse per giustificare le proprie scelte, convincendosi che tutti gli uomini siano uguali, portati all’indipendenza e all’abbandono e che, spinti dall’egoismo, impediscano alle proprie compagne di realizzarsi e di prendere il pieno comando. Le due protagoniste vengono messe letteralmente “con le spalle al muro” dal giovane studente, da un ragazzo in mutande che inizialmente rimane stregato dalla loro maturità e sicurezza e che diventa il loro giocattolo, ma che si sentirà in dovere di riscattare il genere maschile “devirilizzato” a cui appartiene genere “in mutande”, appunto. Il ragazzo si impone con violenza esibendo mosse di Takewondo, (sembra essere l’unico modo per farsi ascoltare) e in seguito, raccontando la sua storia, evidenzierà il fatto che le donne sono arrivate a sostituire gli uomini al punto da escluderli totalmente dalla loro vita, facendosi così autrici della propria solitudine, sostituendoli in tutto e per tutto, generando una categoria di bamboccioni, che non ha difese contro la supremazia femminile. Una guerra dei sessi insomma che spinge a una riflessione circa l’apertura al dialogo tra i due mondi, così lontani, attraverso l’intrusione goffa e timida di un giovane nell’ universo “maturo” delle due donne e delle donne in generale, che spesso intimorisce e risulta incomprensibile, anche alle stesse protagoniste. Anche se all’apparenza la commedia termina con un vantaggio delle due protagoniste, nient’altro che due metà di uno stesso io,forse la chiave dello spettacolo è che una volta trovato un punto di convergenza e un modo sereno per stare bene insieme, non c’è alcuna necessità di qualificare a tutti i costi i rapporti umani, per loro natura inseriti in una vastissima scala di grigi, cercando di vedere oltre le “categorie” di cui tutti noi facciamo parte.
Olga Chieffi