L'avv Sarno: Così feci scagionare Damiani - Le Cronache Attualità
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L’avv Sarno: Così feci scagionare Damiani

L’avv Sarno: Così feci scagionare Damiani

di Erika Noschese

Era il 18 febbraio 2014 quando Bruno Humberto Damiani, detto il Brasiliano, viene arrestato in Colombia. L’uomo si trovava presso l’aeroporto internazionale di Bogotà, dove era appena sbarcato da un aereo proveniente dal Brasile e secondo gli inquirenti proprio il Brasiliano poteva fornire elementi importantissimi relativi all’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, ucciso a colpi di pistola il 5 settembre del 2010. Oggi, a distanza di 14 anni emerge la verità: Bruno Damiani era uno spacciatore ma non un assassino, nulla aveva a che vedere con l’omicidio del sindaco Pescatore. Una tesi sostenuta, fin dal primo momento, dal suo avvocato, il noto penalista salernitano Michele Sarno, proprio di recente premiato come avvocato dell’anno a New York, in assoluto il più importante riconoscimento per un avvocato. L’avvocato Sarno conosce il suo assistito proprio in Colombia: lo raggiunge per seguire l’interrogatorio e in Sudamerica era presente anche il Procuratore Roberti e la Pm Rosa Volpe. «Damiani non conosceva Angelo Vassallo ma soltanto la figlia. Che era fidanzata con un suo carissimo amico. Certo sapeva chi era il sindaco di Acciaroli, ma non l’aveva mai incontrato di persona», raccontò Sarno dopo l’interrogatorio del suo assistito del mese di dicembre 2014 e oggi i fatti gli danno ragione.

Avvocato Sarno, lei ha difeso il Damiani dall’accusa di omicidio per la morte del sindaco pescatore Angelo Vassallo. Dopo tanti anni emerge la verità…

«Anche se dopo vari anni, pur nel rispetto delle indagini in corso e della presunzione di innocenza di chi è indagato, possiamo tranquillamente affermare che emerge un punto chiaro ed inequivocabile in questa vicenda: la completa estraneità ai fatti e l’innocenza del sig. Damiani».

Per anni lei ha sostenuto e ribadito l’innocenza del suo assistito. Aveva ragione…

«Sin dall’inizio della vicenda, sulla base dell’analisi attenta dei fatti e dei documenti, ho sempre creduto nell’innocenza del mio patrocinato. Un’innocenza che ha registrato ben due provvedimenti di archiviazione e che, alla luce di quanto sta emergendo in queste ore, risulta ulteriormente rafforzata. Ritengo che la cosa più importante, però, non sia sottolineare il valore delle proprie ragioni e del brillante risultato difensivo ottenuto nel dimostrare l’innocenza del proprio patrocinato, ma il messaggio positivo rivolto alla famiglia della vittima da parte delle istituzioni. Anche se a distanza di tanti anni, lo Stato dimostra alla collettività che la tutela dei cittadini è un valore a cui il nostro sistema sociale tende, si informa e non intende rinunciare».

Lei ha avuto modo di seguire Damiani. Cosa le raccontò in quegli anni?

«Lo conobbi in occasione del suo primo interrogatorio in Colombia. Ed in quella occasione ebbi subito la sensazione di trovarmi di fronte a un giovane fiero e consapevole della sua verità. Un giovane che rivendicava la propria innocenza ed era positivamente combattivo per difenderla. Quel viaggio è rimasto impresso nella mia memoria e rappresenta un ricordo indelebile, soprattutto perché ebbi modo di confrontarmi con due grandi magistrati: il Procuratore Nazionale Antimafia dottor Franco Roberti e la dottoressa Rosa Volpe (oggi Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Salerno), esempi di correttezza e lealtà processuale, nonché con il carissimo Maggiore Mambor dei Carabinieri, uomo di rara sensibilità, umanità e capacità professionale che purtroppo è venuto a mancare alcuni anni orsono. Fu in quel viaggio che compresi quanto l’Amministrazione della Giustizia possa essere sublimata da un leale confronto tra parti processuali che tendono, pur nella differenziazione dei ruoli, al corretto accertamento della verità».

Sono coinvolti degli esponenti delle forze dell’ordine. Oggi molti cittadini sempre più spesso dichiarano di aver perso fiducia nei confronti dello Stato. Forse oggi non si può dare loro torto…

«Al netto di quanto sarà stabilito ed accertato con un regolare processo, ritengo che i cittadini, pur rispetto a vicende che vedono ipoteticamente coinvolti rappresentanti delle forze dell’ordine, non debbano perdere la fiducia nelle istituzioni e nello Stato. Il singolo che commette un errore od un reato non è lo Stato e non rappresenta certo tutte quelle persone che con sacrificio e dedizione si dedicano alla difesa di noi cittadini. Sono figlio di un uomo che ha indossato la divisa per più di 40 anni e che prima di morire ha chiesto di essere accompagnato dai suoi colleghi perché non desiderava allontanarsi da quella divisa in cui aveva creduto e per cui aveva vissuto. Un uomo che rivendicava con orgoglio il giuramento di fedeltà allo Stato e che ho visto piangere per tutti i suoi colleghi che nell’esercizio del proprio dovere hanno perso la vita. Ai cittadini dico di avere fiducia e soprattutto di pensare, quando gli avvenimenti fanno vacillare questa convinzione, a tutti quei giovani ed a quegli uomini che per quattro soldi hanno perso il bene più caro per difendere le nostre vite e la nostra libertà. A quegli eroi che meritano il nostro orgoglioso ricordo e non certo il sentimento di delusione e mancanza di fiducia nelle istituzioni».

Scena che tutti ricorderanno: l’arresto da parte della polizia colombiana. Sono stati anni difficili anche per lui. Da avvocato, cosa si sente di dirgli?

«Semplicemente (come del resto gli ho detto) di vivere con serenità e di impegnarsi a dimostrare che, grazie al trionfo della verità, ciò che non ti distrugge ti può rafforzare e rendere un uomo migliore».