di Antonio Manzo
Nessuno disse è un ladro, ma tutti dovevano sapere che lui “sapeva e non parlava”. Era la forma tipica della “confessione” investigativa, ereditata dalla terminologia procedurale e sbrigativa di Mani Pulite. Era l’anticamera del carcere. Oggi alle 10:00 gli sarà intitolata la sala dei gruppi consiliari presso la Regione Campania dove Racinaro sedette anche come consigliere regionale della Margherita insieme a Ciriaco De Mita. Un riconoscimento postumo della politica, dopo quelli già celebrati nella distratta città dal mondo universitario, proprio nei giorni del ricordo di Enzo Tortora (40 anni dal famoso arresto) e nelle ore convulse di un ministro della Giustizia, sperimentato garantista che vuole riformare pezzi importanti della degradata giustizia .
Il gesto postumo della Regione Campania non cancella l’avventura umana e giudiziaria di Roberto Racinaro, inseguito e distrutto per 16 anni dalle macerie di un castello accusatorio franato in Cassazione solo nell’ottobre del 2011. L’iniziativa è stata meritoriamente promossa dall’attuale presidente del Consiglio regionale Gennaro Olivero, già eletto nelle fila dell’ex Pd con la coalizione guidata da Vincenzo De Luca.
Roberto Racinaro fu arrestato nel cosiddetto “scandalo dell’università di Salerno” il 2 giugno del 1995: 21 giorni nel carcere di Bellizzi Irpino poi ai “domiciliari” e assolto definitivamente dopo sedici anni di tormento giudiziario. Fu mandato in galera da pubblici ministeri che avrebbero fatto carriera. Chiesero ed ottennero la cattura di Roberto Racinaro con 27 capi di accusa, ivi compresa l’ineluttabile accusa di associazione a delinquere di stampo semplice e non camorristico. Ma l’arresto di Racinaro non rappresentò solo una triste pagina della malagiustizia ma anche l’inaugurazione dell’abbandono della politica garantista da parte della sinistra italiana e dei suoi intellettuali. Fu arrestato il “Rettore rosso” e l’ intellighentia di sinistra cominciò a chiedersi se non si fosse appannato in Italia il sistema delle garanzie, già compromesso nella umanità non regole giudiziarie sperimentate tristemente nella stagione di Mani Pulite. . Filosofi e giuristi, organici o prossimi al partito della Quercia, s’ interrogarono sul lavoro dei pubblici ministeri, fino a quel momento osannato e applaudito ma poi denunciato con onestà intellettuale della grande “penna” di Peppe D’Avanzo che morì senza mai ottenere le famose dieci risposte da Silvio Berlusconi su politica e moralità. D’Avanzo riconobbe se il lavoro dei pm non avesse assunto . E scrivere queste parole su un giornale capofila della santificazione quotidiana dei pm di Mani Pulite non fu cosa da poco. Era rimasto solo il filosofo Norberto Bobbio a condividere la sofferenza di Racinaro, sia pure in una unica ma significativa lettera. Poi silenzio, perfino distacco fisico dal “Rettore rosso” che non ricevette neppure una visita in carcere dai parlamentari ex Pds-Pci. Ebbero almeno il pudore di non dire di non conoscerlo, più che per residua dignità che malcelata solidarietà. Roberto Racinaro, 47 anni, filosofo, fu rieletto Magnifico Rettore dell’Ateneo di Salerno proprio nei giorni della detenzione nel carcere di Bellizzi Irpino. Onde evitare una pagina nera al “suo” Ateneo si dimise dopo sei giorni. Lui era accusato di falso ideologico, abuso d’ ufficio, favoreggiamento e associazione a delinquere. Si abuso d’ufficio! (Nordio resisti, anche per la vittima Roberto Racinaro). Mandarono in galera il filosofo noto nel mondo per gli studi su Hegel, Adler, Kelsen, Rathenau, Scheler.
Peppe D’Avanzo intervistò Filippo Spiezia, pm-accusatore salernitano poi vice presidente di Eurojust (organizzazione del coordinamento europeo per la lotta alla criminalità organizzata). Lo definì . E gli disse: .
Ma Racinaro sapeva e taceva così come indussero il più importante quotidiano napoletano a titolare vistosamente con il “sapere e tacere” degli altri che intascavano bustarelle. Roberto Esposito, anche lui filosofo, era convinto della onestà di Racinaro tanto da proporre una clamorosa dimissioni in massa dei rettori degli atenei per protestare contro l’arresto di Racinaro con le motivazioni giuridiche avverse al reato delle responsabilità oggettive. Ma il caso Racinaro fece abbandonare alla sinistra, se ve ne fosse stata ancora necessità, la strada della difesa delle garanzie per la libertà del cittadino. Racinaro non era uno qualsiasi nel gotha della sinistra. Tra filosofi giuristi ed economisti era uno dei più qualificati intellettuali all’epoca della cosiddetta egemonia culturale. De Giovanni, il filosofo-europarlamentare pds che poi con Racinaro avrebbe scritto anche con Ciriaco De Mita un libro “Da un secolo all’altro” si pentì coraggiosamente e pubblicamente sul caso Racinaro. E sulla prima pagina dell’Unità scrisse: . Il ministro della giustizia, al tempo, non era Nordio ma Filippo Mancuso, grande magistrato massacrato in Parlamento dai giustizialisti dell’epoca (1995). Scrisse autorevolmente Di Giovanni: . Aldo Trione si superò in nettezza e fermezza: . Ma era solo l’inizio della deriva giustizialista non giudiziaria. Racinaro, perdonali.