di Alfredo De Falco
Paolo Reda, musicista di Camerota, paese dalla forte impronta musicale, tanto che ogni famiglia conta un elemento che si è avvicinato alla musica, è il primo corno dell’Orchestra Luigi Cherubini dal 2019, la formazione voluta da Riccardo Muti e che lui dirige, ospitando bacchette del calibro di Valery Gergiev, Gustavo Dudamel, Donato Renzetti, James Conlon, Nicola Piovani, Fabio Luisi, Piero Bellugi, John Axelrod, David Coleman e tanti altri. Da tempo collabora costantemente con diverse orchestre fra cui quella del teatro San Carlo di Napoli, del Verdi di Salerno e appunto la Sinfonica di Sanremo che appoggia il festival. E’ anche un vanto del corpo docente del Liceo Musicale “Alfano I” di Salerno e lo abbiamo raggiunto in un momento di pausa tra le continue prove sul palco dell’Ariston. E’ tanto giovane e viaggia di continuo per lavoro. Quanto pesano nella sua vita sociale attuale questi sacrifici? Dal punto di vista lavorativo è sicuramente appagante, perché sono sempre attivo in varie orchestre, spostandomi tra teatri di tradizione, enti lirici, e adesso il frizzante e stimolante ambiente festivaliero. Alle volte però, sento un po’ la mancanza della mia famiglia. È il suo secondo Sanremo, esattamente uno con e una senza pandemia. Che differenze ha notato? Tutto è stato più spensierato, anche se impegnativo, prima della pandemia. Sanremo richiede sempre molta concentrazione e anche un calcolo ponderato dei tempi, ma con la pandemia tutto questo è significato anche essere sottoposti a tamponi continui e ha richiesto molta disciplina da parte di tutti gli artisti coinvolti. E’ stato diretto da Muti, Gergiev, Bosso, Vessicchio, tante esperienze diverse, quindi è attivo nel campo della sinfonica, dell’opera e del pop. Come si concilia tutto? Un’esperienza arricchisce anche l’altra? A me piace rendere il corno uno strumento versatile in modo che sappia rispondere alle esigenze delle diverse bacchette che dirigono l’orchestra. Sono esperienze sempre differenti ed è interessante mettersi sempre alla prova con stili, generi ed esigenze molto diverse. Che effetto fa osservare da vicino i grandi della canzone italiana? A me piace lasciarmi coinvolgere dalle emozioni quando trovo un artista che le sa donare. Alle volte sono cantanti non particolarmente famosi e ammiro la loro professionalità, l’empatia con cui riescono a interagire con l’orchestra, e anche l’impatto emotivo che suscitano nel pubblico. Li osservo con questo interesse non tanto partendo da un’idea preconcetta, ma con la curiosità di chi vuole vedere cosa sta per succedere. E’ un giovane padre. Come vive l’esercizio professionale e la gestione della genitorialità? Non saprei immaginarmi in una situazione diversa dalla famiglia che io e la mia compagna Nunzia, anch’ella musicista, soprano, abbiamo creato in questi anni. Alle volte è complicato far conciliare tutto, ma abbiamo una figlia stupenda che ci dà l’energia e rinvigorisce il nostro interesse per lo studio. Questo comporta molti sacrifici, ma è necessario ricavare del tempo anche per l’esercizio della professione perché la genitorialità non comprime la professionalità di un artista, ma la alimenta.