L’alba in colori e musica del Ravello Festival - Le Cronache Ravello
Musica Ravello

L’alba in colori e musica del Ravello Festival

L’alba in colori e musica del Ravello Festival

Di Olga Chieffi

 

Si avvicina il giorno del concerto all’alba per la LXXII edizione del Ravello Festival, che anche in quest’edizione, firmata da Maurizio Pietrantonio, segna il giro di boa del cartellone. Il sole di domenica, spunterà intorno alle 5,30, sulle note del Capriccio sinfonico in fa maggiore, SC 55 di Giacomo Puccini, eseguito dall’ Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi di Salerno, diretta da Alessandro Bonato. Un rito di passaggio, questo, dopo aver fissato il cielo nella notte di San Lorenzo, per catturare qualche bolide cadente e vedersi “quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella”, per dirla con Giovanni Pascoli, esprimere un qualche desiderio, prima di calarsi in questo concerto da “vedere” sul belvedere di Villa Rufolo. Apertura con il Capriccio sinfonico, datato 1883 , un compito d’esame per il Conservatorio, per il dovuto omaggio a Giacomo Puccini, nel quale riconosceremo il tema iniziale della Bohème, come anche la musica del funerale nel terzo atto dell’Edgar, temi che hanno funzione ben definita in un discorso musicale coerente, articolato in uno schema ternario, con un episodio centrale a mo’ di scherzo. Due i motivi contrastanti uno orchestrato massicciamente e pesante per le appoggiature, l’altro più leggero e luminoso, entrambi successivamente ampliati, compendiano un conflitto emozionale, che non troverà soluzione fino al termine della composizione. Richard Wagner la mattina di Natale del 1870 svegliò sua moglie Cosima con un dono musicale l’ Idillio di Sigfrido, che verrà eseguito quale secondo brano del concerto all’alba. Il maestro preparò la sorpresa affidandola a quindici musicisti, nascosti in fondo alla scalinata della villa di Triebschen. Un regalo che schizzava una situazione familiare di serenità, attraverso sottigliezze timbriche e armoniche di rara levità, in una dimensione trasognata e luminosa: il materiale tematico deriva in massima parte dalla musica dell’opera, con l’aggiunta di una ninna nanna popolare tedesca che compare a tratti nella parte centrale della composizione. Per il resto lo spirito musicale dell’Idillio è diverso da quello dell’opera, per un andamento discorsivo privo di grandi voli, un dialogo familiare tra flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba e archi.  La seconda parte del programma sarà interamente dedicata all’esecuzione della  Sinfonia n°5 in Mi minore op.64, composta da Pëtr Il’ič Čajkovskij nell’estate del 1888, in un periodo abbastanza sereno della sua vita, la sua nuova abitazione di campagna, a Frolovkoe, nei pressi di Klin, gli era molto congeniale: situata su una collina, godeva di un bel panorama, era ben arredata, e confinava con un bosco nel quale il compositore faceva lunghe passeggiate.

Ma nella calma insolita di questa situazione si risvegliarono poco a poco tormenti e nevrosi: Čajkovskij iniziò a rimproverarsi per la mancanza di un progetto artistico preciso, per l’assenza di ispirazione. Iniziò a pensare di essere finito, di aver forzato troppo la fantasia e di aver esaurito la fonte della sua arte. La verità è che Čajkovskij non era in grado di vivere senza lavorare: durante i periodi di intensa attività desiderava spesso il piacere del riposo, ma poi non era in grado di sostenerlo. L’ozio gli arrecava tristezza, depressione, paura per il futuro, rimpianti per un passato che non poteva tornare, l’unica possibilità per sopportare l’esistenza era il lavoro. Così Čajkovskij pensò a questa nuova sinfonia, più che per una reale esigenza espressiva, per dimostrare che come compositore non era ancora finito, e per scacciare i fantasmi che tormentavano la sua psiche instabile. L’opera si apre con un tema che ritornerà in tutti i movimenti seguenti come un motto unificatore, garante dell’unità del lavoro. In un appunto scritto da Čajkovskij nel periodo della stesura della Quinta, viene definito il significato di questa idea musicale, che esprime “la totale sottomissione davanti al Fato – oppure, il che è lo stesso, agli imperscrutabili disegni della Provvidenza”. Il destino che Čajkovskij sente come avverso non è qualcosa che gli si oppone dall’esterno, ma al contrario è uno stato interiore, una debolezza soggettiva: è l’impossibilità di reggere il peso dell’esistenza. ll primo movimento, in forma-sonata, si apre con un Andante che realizza perfettamente le parole del programma grazie al celeberrimo tema del Destino, esposto dai clarinetti nel registro grave, la cui struttura mostra un’evidente origine russa soprattutto nel disegno discendente. L’atmosfera funerea di questo esordio sembra modificata nell’Allegro con anima, nel quale, secondo il programma già citato, il compositore cercò di rappresentare Mormorii, dubbi, lamenti, rimproveri contro XXX (nel testo sono indicate tre croci); ciò si realizza nella prima idea tematica dove il tema del destino è variato con disegni ascendenti che intendono mostrare una forma di reazione alla sua inesorabilità, ma una seconda idea tematica dolente, che ricorda lontanamente la seconda frase del tema dello Scherzo della Quinta di Beethoven, riconduce l’ascoltatore alla situazione iniziale. È possibile trovare la pace nella fede? Questo è l’interrogativo che il compositore si pone nel secondo movimento Andante cantabile, con alcuna licenza, come si evince anche dalla nota diaristica in cui si legge: “Devo gettarmi nella fede? Un programma superbo, se solo fossi capace di realizzarlo”. La grande libertà agogica e ritmica, che aveva contraddistinto il primo movimento, caratterizza anche questo Andante in cui il compositore cerca nella fede, alla quale non riesce o non sa aggrapparsi, una ragione di vita destinata a rivelarsi illusoria. Se nella prima sezione del movimento la fede sembra garantire un momento di serenità, nella seconda l’irruzione del tema del destino, declamato con forza dagli ottoni, ne sancisce lo scacco. Per quanto illusoria, la possibilità di una fuga dal destino incombente e terribile sembra l’unica ancora di salvezza per il compositore che nel terzo movimento, Valse, si affida alla danza, ma ecco che di nuovo il tema del destino, esposto dai clarinetti e dai fagotti, si insinua e turba l’apparente serenità del valzer che, poco incline al sorriso, tende a ricoprirsi di un sia pur tenue velo di tristezza. Quest’apparente serenità, nel quarto movimento, viene definitivamente sopraffatta dal crudele destino con il suo tema che apre e chiude questo finale dai toni drammatici e, al tempo stesso, rabbiosi. Il doloroso Andante maestoso introduttivo è dominato dal tema del destino che in un drammatico crescendo finisce per coinvolgere tutte le sezioni dell’orchestra, a seguire nel successivo Allegro vivace del dramma si unisce la rabbia ben espressa dai violenti accordi strappati degli archi, la cui “ferocia” sembra mitigata dal dolce secondo tema affidato ai legni in un continuo contrasto che caratterizza tutta la sinfonia e conduce alla definitiva vittoria del destino. Tale vittoria è sancita dalla travolgente stretta finale, dove appare il primo tema del primo movimento che, privo di ogni maschera seduttrice e ingannatrice, rivela la sua forza tragica, nonostante il tema del destino avesse precedentemente assunto un’insolita veste in maggiore che sembrava, in modo ingannevole, far intravedere all’ascoltatore una sua possibile sconfitta. La sinfonia, dunque, si dichiara fin dall’inizio come il prodotto di un’introspezione del soggetto che l’ha creata, della sua psiche sofferente e rinunciataria. In realtà l’opera nella sua globalità non esprime infelicità o disperazione, anzi si possono rintracciare in essa tratti di autentica euforia, ma il senso di disfatta dell’apertura non può essere dimenticato e proietta la sua ombra anche sui momenti più positivi e luminosi della sinfonia.