di Erika Noschese
La scelta di avere “Salerno green” dipende dai cittadini, prima ancora che dall’amministrazione. Questo, in estrema sintesi, il punto del lungo e interessante colloquio con Mario De Vita, agronomo impegnato nel quinquennio 2016-2021 a gestire – tra le varie cose – le indagini di stabilità del verde pubblico del Comune di Salerno.
I cittadini si lamentano. Il verde non è ben gestito.
«Non ne faccio un discorso politico. Le faccio presente che la cittadinanza non può parlare. L’idea di gestione del verde pubblico della cittadinanza è sbagliata a prescindere, perché mancano le basi del concetto».
Cosa intende?
«Facciamo una premessa: Salerno si trova a gestire un patrimonio urbano di verde pubblico costituitosi tra anni ‘40 e ‘70 in modo fortemente disorganizzato. Ci sono alberature grandissime, le più grandi di Salerno, che sono state poste su marciapiedi ampi, poi successivamente ridotti per esigenze della cittadinanza, cioè fornire più spazio di transito e di parcheggio. Queste alberature molto grandi, potenzialmente, non possono restare dove sono perché hanno fori e spazi dove radicare fortemente ridotti. Soprattutto la cittadinanza vorrebbe costantemente la capitozzatura: eppure, anche il più grande ambientalista di Salerno, quando l’albero è di fronte casa sua, non vuole che i rami vadano sul suo balcone, che la pianta oscilli et similia. Senza sapere che più la pianta oscilla, più è sicura, più è ferma, più è a rischio. Questo il cittadino non lo sa».
Lei ha gestito per 5 anni le indagini di stabilità del verde pubblico per il Comune di Salerno.
«Sì. Tra l’altro, sfortunatamente, gestendo l’evento straordinario della tromba d’aria e vivendo alcuni degli ultimi crolli di alberatura tra cui quello di via Vinciprova, quando purtroppo nulla si fece per inadeguatezza della gestione amministrativa».
Quindi il Comune è incapace di gestire il verde pubblico?
«Non parlo di incapacità. Tra la segnalazione e la chiusura delle gare per assolvere al problema, possono registrarsi tempi lunghi. Per cui, nonostante avessimo previsto di fare interventi di riduzione chioma ed eliminazione delle piante, poiché era previsto di trasformare quello spazio (via Vinciprova, ndr) per allargare l’area parcheggi, ci siamo ritrovati con il Comune attivatosi per l’assegnazione dell’incarico e la pianta, dopo 10 giorni, è caduta. Quando gli interventi non sono in emergenza, le gare pubbliche richiedono tempi e procedure che, spesso, diventano bibliche perché ognuno cerca di imporsi e vincere sull’altro, avendo o non avendo le competenze e le capacità».
C’è, però, il problema delle potature.
«Tra i vari forum e i divulgatori sui social, si nota sempre più spesso che l’approccio è: “le piante non si potano, oppure l’intervento deve essere rivolto al contenimento dei rami che hanno sviluppo anomalo rispetto all’andamento della chioma”. Quando la cittadinanza sollecita, invece, è sempre un intervento anomalo. Ora, il paradosso qual è: rispetto a una potatura forte, ma non organizzata, una capitozzatura potrebbe diminuire un sistema di gestione più corretto. La capitozzatura, in alcuni ambiti, viene praticata come tecnica di gestione delle alberature. Tanto è vero che in ambito forestale si trovano potature a testa di salice e altre ancora, cioè capitozzature forzate per permettere alle piante di avere sempre la stessa forma. Ma questo richiede che l’amministrazione impegni sempre una certa cifra per fare sempre una certa potatura. Anche per prevedere che la pianta, da 100 anni di vita, ne viva 50 per via di questi interventi, immaginando poi sul lungo termine una nuova posa».
Quindi l’amministrazione ha avuto e ha, ancora oggi, le sue responsabilità.
«Più che attaccare l’amministrazione, bisognerebbe attaccare la cittadinanza perché non si sa quanto sia grande la loro responsabilità. Una delle ultime volte in cui sono comparso in tv con il sindaco Napoli, per la caduta di un pino a Pastena, non abbiamo potuto dire che la colpa è dei cittadini che ritengono che le deiezioni canine siano concime. Ma basta farsi un giro per Salerno, vedendo le aree sgambamento cani, per notare che il prato non c’è. E perché? Perché il Comune non fa manutenzione? No, perché le deiezioni animali sono acide e non vengono utilizzate per la fertilizzazione. Vanno prima maturate, trasformate e poi riutilizzate. Il cittadino deve pensare che, anche quando va nell’area sgambamento cani, dovrebbe intervenire per trasportare ciò che il cane ha rilasciato. Se il cane fa pipì sempre nello stesso punto, il prato si brucia a causa di un accumulo di urea, il terreno si compatta, diviene asfittico, le radici vanno in sofferenza. Poi ci sono altri problemi, come avvenuto nello specifico caso di Pastena da me citato prima, in cui la pianta è caduta non perché non avesse capacità di mantenersi in piedi ma perché la zolla si era liquefatta a causa delle piogge. La pianta non aveva più nulla cui appoggiarsi. Fu un evento eccezionale come quello che determina le frane: la deteriorazione del suolo è indice di errata o impossibilità di manutenzione di quello spazio».
Quindi la responsabilità è dei cittadini.
«La questione è grave: passeggiando sul Corso, a Salerno, si noterà che in tutte le aiuole, con o senza l’albero, non c’è un filo d’erba. Questo perché le persone non scansano l’aiuola o raccolgono le deiezioni se il cane espleta i suoi bisogni».
Stando a ciò che dice, il Comune quindi non può determinare alcun approccio di gestione del verde.
«Non si tratta di come il Comune gestisce il verde: sì, è tutto molto rallentato per via delle gare dai tempi lunghissimi, così come si è contestato il problema delle cooperative sociali senza affrontare il loro aspetto tecnico. E infatti, nei 6 mesi di totale fermo delle coop, si è passati da erba manutenuta, male ma pur sempre meglio di nulla, a erba alta. Potremmo avere un approccio alla svedese, con erba alta 60 cm e non 6 come ora. La politica ambientalistica di oggi non vuole, infatti, manutenzione delle erbe: vuole il loro sviluppo naturale perché poi lì ci vanno insetti che indicano l’incremento della biodiversità. Spesso però si sviluppano insetti che sono pericolosi per l’ecosistema uomo. Personalmente non condivido questa linea, ma questo è un indirizzo per cui la politica locale dovrà farsi carico di scelte difficili».
«Non vado al Parco del Mercatello da un paio d’anni, ma non mi sembra sia nel totale abbandono. Forse la mancanza di quell’area è che, per essere un polmone verde, manca quella parte principale che è quella boschiva. Ma quello è progettato per essere un parco, deve essere vivibile e i boschi non sempre sono vivibili». Lo ha detto Mario De Vita, agronomo per il Comune di Salerno dal 2016 al 2021, in merito alla gestione del verde in città.
Ha mai avuto disagi importanti con la cittadinanza?
«Gliene cito uno. Fui chiamato dall’amministrazione per la verifica delle attività degli operai in una zona che non specificherò, le persone sindacavano e si lamentavano sul metodo di taglio per ogni singolo centimetro. Le squadre lavorano su spazi più o meno lunghi, quindi è impossibile supervisionare contemporaneamente tutto il cantiere: nel momento in cui l’intervento lo fa una persona esterna, senza coinvolgimenti politici, l’intervento viene fatto in quel modo. In altri casi, sarebbe stato impossibile operare nel modo corretto. Fermo restando che, il giorno dopo, iniziarono e inizieranno sempre le proteste perché “l’intervento è stato blando e non è servito a niente”, perché tutti sono esperti potatori e ritengono che la pianta si dovesse tagliare in un modo anziché in un altro. Si pretende di avere competenze che poi non si hanno
Altra questione annosa: Parco del Mercatello, un mancato polmone verde in città.
«Per quello che so, pare che l’amministrazione attendesse lo stanziamento di fondi per alcune aree residue, non definitivamente sistemate, e per recuperare aree dismesse perché il laghetto non era funzionale, ad esempio, e per allargare un’altra porzione. Non vado al Parco del Mercatello da un paio d’anni, ma non mi sembra sia nel totale abbandono. Forse la mancanza di quell’area è che, per essere un polmone verde, manca quella parte principale che è quella boschiva. Ma quello è progettato per essere un parco, deve essere vivibile e i boschi non sempre sono vivibili».
Quello spazio è tra i pochi pubblici in cui poter giocare o sostare su un prato.
«Giocare al pallone non è come transitare sull’aiuola a bordo strada. Quello è uno spazio verde estensivo: se la gente si distende sul prato non crea aggravi sostanziali di quel pezzo di terreno».
Salerno, quindi, è ben gestita?
«Negli ultimissimi tempi ha vissuto, complice la fase storica particolare, tanti problemi. Ma non è uno dei comuni peggio gestiti. Ci lamentiamo perché cade qualche ramo, uno o due alberi all’anno: ma parlare di alberi quando abbiamo impianti con diametro da 8-10 cm, è esagerato. A Napoli cadono alberature in modo molto più clamoroso, e sono alberature importanti. A Roma idem. A Battipaglia, più piccola, è lo stesso. Noi dovremmo essere consapevoli che, con tutti i problemi che sicuramente ci sono, la gestione non è la peggiore in assoluto. Tra l’altro Salerno è stata forse apripista: è stata prima città ad essersi dotata di un regolamento sul verde, che prevede che tutti i cittadini, anche privati, quando fanno interventi sul verde debbano segnalarlo all’amministrazione; che quando abbattono un albero, debbano riconoscere all’amministrazione un’indennità di abbattimento. Salerno su alcuni aspetti è stata innovatrice e all’avanguardia. Non dimentichiamo che, nella gestione del punteruolo rosso, fu una delle poche eccellenze d’Italia. Salerno l’ha contenuto nei limiti del possibile, ma non ha perso la battaglia. Ci sono città dove non c’è stata più una palma, dopo quell’evento. Volendo evidenziare una criticità, direi che l’andamento delle gare ha rallentato fortemente l’attività di gestione per la pianificazione. Gli interventi fatti ad oggi sono stati sempre gestiti nell’emergenza e nel precariato dell’immediatezza. Mi auguro che l’amministrazione riesca a fare una pianificazione seria. Se chi vince o perde accontenta o meno le parti, non saprei dirlo. Ma tecnicamente, con un affidamento di lungo periodo, si può consentire al settore di pianificare gli interventi. Se gli affidamenti sono in emergenza, invece, non si può fare molto».
Come, ad esempio, la gestione di alberature per evitare il surriscaldamento cittadino grazie all’asfaltatura.
«Il tema della gestione delle alberature per quest’obiettivo è molto complesso, anche perché presuppone valutazioni. Se l’amministrazione potesse gestire idoneamente gli spazi dove far radicare le piante, probabilmente la scelta di mettere alberi per far raffreddare le strade potrebbe essere assecondata. Esempio: su via Luigi Guercio provvederanno a eliminare tutte le palme presenti. Problematica è la strada stessa: è vero, in ambito generalistico e assoluto, che la carenza di alberi sul bordo stradale determina surriscaldamento perché l’ombreggiamento non viene perpetrato e quindi l’asfalto, nero, surriscalda e innalza calore. L’80% di questi studi, però, proviene da Paesi in cui le strade sono ampie mediamente 2 volte rispetto alle nostre strade più ampie. Le palme di via Guercio sono da abbattere, non tanto per questioni di staticità, ma perché essendo strada stretta tra palazzi alti, l’ombreggiamento dei palazzi determina che le quelle piante, che necessitano del sole per natura, sono cresciute in modo filato perché l’ombreggiamento dei palazzi le spingeva ad andare verso l’alto. Hanno quindi forte propensione all’oscillamento, aggravata dal fatto che i cittadini spesso hanno utilizzato quelle pertiche per attaccarci gli striscioni per inneggiare alla Salernitana, determinando una lesione al fusto di quella pianta e problematiche legate al fatto che due si siano spezzati per effetti non fisiologici, ma per danneggiamento. Qualsiasi pianta verrà messa dopo, non contribuirà comunque alla riduzione della temperatura su quel tratto, perché qualsiasi pianta messa lì avrà come esigenza primaria quella di raggiungere il sole. Man mano che si alzerà verso l’alto, la proiezione dell’ombra anziché cadere sul manto stradale si riverserà sul marciapiede o sui palazzi e non sulle strade».
Eppure via Luigi Guercio non pare la strada più idonea per questo ragionamento.
«Quella strada vive il surriscaldamento in modo anche più sensibile rispetto ad altre, poiché i palazzi sono stretti, in posizione non esattamente in linea coi venti dominanti che la rendono strada non ventilata. Inoltre, il transito delle auto contribuisce ulteriormente al surriscaldamento. Lì c’è esigenza di ombreggiare, ma ci sono posti in cui ci può ombreggiare con alberi, e posti in cui si deve ombreggiare con altre tecniche. Il verde, che deve fungere anche da polmone, non è dato solo dagli alberi: prati, siepi, bordure, fiori, verde verticale dei palazzi sono valide opzioni. Tutto contribuisce all’ottenimento del risultato. C’è un posto per ogni albero se ogni albero è al suo posto».