Trionfo assoluto del soprano partenopeo alla LXXII edizione del Ravello Festival, che si è presentato al pubblico con il Quartetto Lirico Italiano Mirela Lico e Leonard Simaku al violino, Luca Pozza alla viola, Livia Rotondi al violoncello e la pianista Elda Laro, per il gala dedicato a Giacomo Puccini e all’Opera Italiana
Di Olga Chieffi
Intensa performance del soprano del momento, il premio Puccini Anna Pirozzi, al quale il direttore artistico Maurizio Pietrantonio ha inteso felicemente affidare l’omaggio a Giacomo Puccini e all’opera italiana per intero, la quale mercoledì sera si è presentata, in grande spolvero al pubblico della LXXII edizione del Ravello Festival, unitamente al Quartetto Lirico Italiano formato da Mirela Lico e Leonard Simaku al violino, Luca Pozza alla viola e Livia Rotondi al violoncello con Elda Laro al pianoforte. Programma diviso tra interventi strumentali e una particolare scelta di arie, che oltre a Puccini, al quale è stata dedicata l’intera seconda parte della serata, ha spaziato da Verdi a Rossini. Il concerto è stato inaugurato da una parafrasi del Rigoletto di Giuseppe Verdi, per introdurre le due arie verdiane, scelte da Anna Pirozzi, ovvero “Santo di Patria”, cavatina di Odabella dall’Attila e l’Ave Maria dall’Otello. Il quartetto con pianoforte, le cui trascrizioni sono firmati da Luca Pozza, ha adottato un “lessico famigliare”, per dirla con Natalia Ginzburg. Una qualità non comune ha caratterizzato l’accuratezza del lavoro interpretativo, condotto nel segno del migliore spirito cameristico, per cui a noi farebbe piacere ascoltare l’intera formazione col soprano, anche in letteratura originale per questa formazione. Nonostante i quattro archi siano stati messi a dura prova dall’umidità, dovuta alle tempeste d’estate che si sono abbattute sino a poco prima del concerto, tanto che abbiamo tutti sperato di ritrovare suono e amalgama, certamente perfetti, nell’auditorium Niemeyer, siamo stati coinvolti dal loro gusto di far musica insieme, nel senso della più profonda empatia, costituendo, così, quella filigrana ideale di un approccio che è sembrato trovare in ogni frangente, un equilibrio mirabile tra le ragioni della forma e quelle dell’espressione, tra senso della coerenza complessiva e spazio alla freschezza dell’interpretazione, tra controllo collettivo e margini di libertà individuale. Non solo musica, ma grande liuteria in campo, con un Celeste Farotti tra le mani di Mirela Lico, un Lorenzo Frignani tra quelle di Leonard Simaku, una viola Franco Merlo per Luca Pozza, che si è visto saltare tre corde, durante l’esecuzione della Tregenda dalle Villi, imprevisto prontamente risolto tra gli applausi e un raro e prezioso violoncello Vincenzo Sannino, made in Napoli, interpretato da Livia Rotondi, la quale ha rivelato che il suo strumento suona in altro modo quando sente aria di “casa”, per riuscire a ricercare quella fascinazione sonora e timbrica morbidamente levigata attenta, per quanto possibile, alle minime sfumature, in ogni pagina, con un pianoforte sempre moto contenuto, forse troppo, pensato in questa veste, un po’ dimessa, anche dallo stesso arrangiatore e che su di un palco così dispersivo, non è riuscito a offrire il giusto e necessario appoggio alla solista, in particolare in Attila. Anna Pirozzi ha repertorio così vasto da poter interpetrare ciò che vuole. Ha in dote un’emissione musicalissima, capace di stupefacenti mezze voci, che sa colorare di trepidante intensità. La sua voce, che brilla di un argento lievemente brunito, le ha lasciato interiorizzare felicemente il canto, in particolare, nella preghiera dell’Otello, nella pagina rossiniana “Giusto Ciel” e, naturalmente, nel “Vissi d’arte”, pagine che non mancano certo di tessiture di ben diversa complessità, ponendo a nudo una voce generosa, robusta, morbida e sensibile, in particolare nello splendido registro medio grave. Non è agevole cantare Verdi, il soprano deve sapersi battere per cogliere un’estasi pari a quella della luna che di slancio trapassa un nodo di nuvole nere, cantando tutto nota per nota. E la luna, a Ravello, ha “bussato”, è sortita, come in un quadro, sull’intermezzo di Manon Lescaut, che ha poi introdotto il portrait pucciniano, passato attraverso “Donde lieta” da Bohème, Tosca e “’O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi. L’espressione della voce è divenuta corporea, frutto di un’equazione speciale, anche in “Addio mio dolce amor” da Edgar, ottenuta attraverso il prestigio del gioco d’emissione, ovvero quel chiarire o scurire le vocali, tornire la sillabazione, e a guardar le scelte, dando a ogni nota un preciso significato drammatico, interpretando, nel senso più pregnante del verbo. Applausi calorosi per tutti, standing ovation e rose bianche per Anna, la quale ha inteso omaggiare nel bis la tradizione musicale napoletana. Le braccia della Pirozzi sono aperte, quanto la pienezza del suo intuito musicale e le pagine scelte sono state due “Je te voglio bene assaje” e “Dicitencello vuje”. Canta Napoli e, quindi, tributo, alla città dove tutto è nato e non resta, altro da fare che terminare, dedicando al soprano i versi di Libero Bovio dove è racchiusa tutta l’esplosione passionale di quel sentire musicale di cui la Pirozzi è degna erede: “Voglio cantare e si nun canto moro,/ E si nun canto me sento murire. /Me sento fa’ nu nureco a lu core/Nisciuno amante me lo po’ sciuglìre”.