di Olga Chieffi
Gran finale il 26 dicembre, per affiancare la tradizione del concerto di Santo Stefano, giorno post-natalizio, solitamente “vuoto” a quella del concerto all’alba, per la piccola e preziosa rassegna natalizia donata dalla Fondazione Ravello al suo pubblico. Due i progetti esclusivi in prima assoluta commissionati dal direttore artistico Alessio Vlad a Toni Servillo e ad Alessandro Preziosi e Stefano Di Battista, per continuare ad onorare il settecentenario della nascita di Dante Alighieri, con l’ultimo appuntamento, affidato al soprano Lisette Oropesa, liberatasi solo per Ravello da impegni che la vedono calcare i palcoscenici internazionali dal Metropolitan al Covent Garden, dall’Opera di Parigi a quella di Vienna, reduce dal successo al Teatro alla Scala dove, dopo aver cantato nello spettacolo di inaugurazione della stagione 2020-21 e dove si appresta a tornare per i Capuleti e Montecchi, ha interpretato Theodora, la protagonista dell’oratorio di Georg Friedrich Händel. Il soprano sarà sostenuto dalla Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli, diretta nell’occasione da Fabrizio Maria Carminati, per far rilucere sette gemme del suo repertorio evocando Fiorilla, Giulietta, Hélene, Isabelle, Musetta e Manon. Lisette Oropesa ha scelto proprio Ravello per debuttare in Campania, il prossimo 26 dicembre alle ore 18.30, nell’Auditorium Oscar Niemeyer, la Oropesa darà forma e suono a sette arie diverse per cronologia e stile, ma tutte parimenti estratte dal suo migliore repertorio. Si inizerà con la Cavatina di Fiorilla “Non si dà follia maggiore” dal Turco in Italia di Rossini, Mentre, aria di sortita della protagonista, che passeggia con un gruppo di amiche inneggiando alla libertà in amore. Si continua con l’amore con la Musetta tutta spigoli e vivacità, elevare il suo sprezzante valzer sulla sua ammirata avvenenza dalla Bohème di Puccini, la dolcissima romanza di Giulietta un preludio nostalgico e precorritore (sembra anticipare pagine celebri dei Puritani) affidato al corno solista, incastonato tra mesti interventi degli archi che dapprima indugiano su un doloroso semitono discendente per poi ravvivarsi in una gemente discesa accordale, introduce con straordinaria potenza icastica la scena consacrata alla presentazione di Giulietta Eccomi in lieta vesta. Oh! quante volte, oh quante! dal I atto de I Capuleti e i Montecchi di Bellini. Lo stridente contrasto tra i lieti preparativi per le nozze e la tristezza nel sapersi vittima sacrificale di un’unione detestata si sostanzia in un recitativo suddiviso in tre sezioni e sorretto da un cangiante ordito orchestrale. Esitanti figurazioni degli archi enfatizzano innanzitutto il senso di smarrimento della giovane che, vestita da sposa nelle sue stanze, si dichiara piuttosto pronta a morire lanciandosi in impervie e volitive fioriture vocali. Si passerà, quindi al Verdi del virtuosistico bolero di Hélène “Merci, jeunes amies” che, dal V atto de Les vêpres Siciliennes. Ed ecco un’altra aria in valse stavolta di Gounod con l’ariette valse di un’altra Juliette, suoi gli acuti e la fresca agilità richiesta per l’esecuzione della celebre “Je veux vivre dans le rêve”, dal I atto dell’ opéra-lyrique Roméo et Juliette. Si passerà a Meyerbeer con la cavatina d’Isabelle “Robert, toi que j’aime” dal grand-opéra Robert le Diable e Massenet con l’aria “Je marche sur tous les chemins” dalla Manon. A completare la scaletta, pagine sinfoniche d’apertura con Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossino, con quell’ introduzione che subito va ad inchiodare l’ascoltatore. All’ accordo perfetto fa il verso una scalettina a note ribattute, quasi in sordina, sottile immagine nella quale l’accordo stesso si scompone; quindi, risposta e relativo “eco” in ottava inferiore; gioco di specchi che si svolge in sole tre battute. L’introduzione è tutta in questo nucleo che si ripete e si sviluppa in arabeschi e in quelle microstrutture a note ribattute che sono pura invenzione di Rossini. Il ritmo ha sostanza fonetica, è “parola” sussurrata da strumento a strumento che si personalizza, circola, acquista voce “borghesemente” umana, sino a sbottare nell’allegria, per poi placarsi e sparire nei frammenti della solita “sospensione”, che nel giro cromatico di quattro semitoni, aprono l’ingresso al secondo celeberrimo e travolgente motivo. Confronto con il brio della Sinfonia d’opera di Giovanni Paisiello e passaggio alla sinfonia di Norma di Vincenzo Bellini, opera racchiudente quel “Guerra!Guerra! le galliche selve quante han querce producon guerrier…” il grido che i Galli insieme a Norma urlano contro i Romani oppressori, opera che nel 1859 fu cancellata a Milano, poiché il popolo si unì a quell’urlo, prima di chiudere con la sinfonia da Don Pasquale, una macchina musicale derivante dai suoi predecessori ma ben aggiornata con ritmi di danza del tempo.