La Traviata: la gabbia claustrofobica del drappeggio - Le Cronache
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La Traviata: la gabbia claustrofobica del drappeggio

La Traviata: la gabbia claustrofobica del drappeggio

di Luca Gaeta

Fra le tante figure professionali che si sono alternate nel corso degli anni al Teatro Verdi di Salerno, soprattutto da quando il Teatro è sotto la direzione artistica del maestro Daniel Oren, lo scenografo Alfredo Troisi ha preso parte a numerose messinscena operistiche. Lo abbiamo incontrato per una breve intervista, in occasione de La Traviata, di cui è autore della scenografia. Quando ha cominciato a collaborare con il Teatro Verdi di Salerno in qualità di scenografo? La mia prima collaborazione con il Teatro Giuseppe Verdi di Salerno risale al 1998, esattamente la seconda produzione dopo la riapertura, a seguito della ristrutturazione. Portammo in scena un Nabucco, vivo nella mente di chi frequenta abitualmente il Teatro di Salerno da anni, ossia la produzione che vedeva fra gli interpreti Antonio Salvadori e Maria Dragoni. Da allora è nata una collaborazione stabile con il Teatro di Salerno, consolidata anche con la presenza del maestro Daniel Oren, in qualità di direttore artistico. Spesso il maestro Oren mi ha riconosciuto una capacità di “dialogo”, con i diversi registi che si sono alternati nel corso degli anni e con i quali ho collaborato, capace di fondere gli elementi scenici, con l’idea registica e con le indicazioni musicali, a vantaggio di uno spettacolo che sappia sempre offrire un discorso unitario, pur mantenendo le peculiarità dei diversi interpreti. Con quali registi ha collaborato spesso nelle produzioni al Teatro di Salerno e con quali si è creato maggior feeling? Ho collaborato spesso con Riccardo Canessa, che definirei un “uomo di teatro”, nonché un profondo conoscitore di questo mondo e delle logiche che lo regolano. Così anche il maestro Renzo Giacchieri, dalla profonda tradizione e cultura. Se dovesse indicarmi un titolo capace di condensare il suo gusto estetico, ma allo stesso tempo capace di saperla ispirare, traendo da esso ispirazione, cosa mi direbbe? Il mio lavoro di scenografo è quasi totalmente rivolto all’opera lirica. Sono state poche le mie partecipazioni a lavori di prosa e ancor meno a quelli televisivi. Quindi ho avuto il modo e la fortuna di potermi confrontare con numerosissimi capolavori di questo genere, al punto quasi da non saper individuare un titolo che possa rappresentarmi. Sicuramente sono affascinato dal mondo fiabesco, onirico che ritrovo in alcuni titoli di repertorio, uno fra tutti Turandot. La Traviata è stata rappresentata diverse volte a Salerno. Quali saranno i tratti scenici che caratterizzeranno in particolare questa messinscena? Come lei ha detto, La Traviata è un titolo che al Teatro Verdi di Salerno è stato proposto diverse volte. Sicuramente per la sua universalità, ma questo è riconducibile a tutti i grandi capolavori della musica, in particolar modo, a quelli del cigno di Busseto. Credo che in questo periodo così particolare, per una ritrovata “quasi normalità”, per un incontro con il pubblico che abitualmente partecipa alla vita artistica del Teatro, quale titolo, se non quello de La Traviata, poteva incarnare al meglio questo momento. È la prima volta che collaboro con Massimo Gasparon, il regista appunto di questa produzione. In generale possiamo dire che sarà una messinscena di tradizione, ma con i suoi simbolismi. Uno fra questi è senz’altro il drappeggio, che nel nostro caso non sarà obbligatoriamente in tessuto, ma una sorta di drappeggio scultoreo, direi una corazza, che cela e allo stesso tempo protegge, rendendo anche la scena “claustrofobica”, come d’altronde lo è la vita della protagonista. Violetta maschera la sua vera essenza, la protegge da coloro che la reputerebbero fonte di fragilità ed allo stesso tempo ne è quasi sopraffatta, da questa vita che non le appartiene. In contrasto con il primo atto, la scena del secondo, che grazie ad una luminosità ritrovata, anche negli elementi e nei materiali proposti, ci offre un contraltare della vicenda. Un palazzo bianco, candido come lo potrebbe essere la porcellana e come tale estremamente fragile, a sottolineare la nuova condizione di vita, l’amore ritrovato e la fragilità con cui tutto ciò possa istantaneamente svanire. Probabilmente ci sarà un elemento scenico a disturbare questa ritrovata tranquillità, ma non voglio svelarvi tutto, attendendovi in teatro.