Successo di critica per l’unico spettacolo di danza proposto dal Cartellone del LXVII Ravello Festival
Di LUCIA D’AGOSTINO
Quando la danza si fa carne e passione, sensualità e intensità espressiva corporea arriva lui, Sergei Polulin, classe 1989 nato in Ucraina e russo di adozione, la cui fama di “bad boy” del balletto lo precede ormai ovunque. Così, ancora una volta, venerdì scorso, il RavelloFestival diventa uno dei più suggestivi e bei palchi al mondo ad accogliere il linguaggio artistico contemporaneo attraverso la trasgressività creativa e fisica del ballerino con il volto di Putin tatuato sul petto. Sarebbe troppo facile ridurre il personaggio ad una astuta operazione di marketing sul suo passato di enfant terrible, che ha lasciato giovanissimo la carriera di primo ballerino del Royal Ballet di Londra: basta vederlo danzare, occupare lo spazio e riuscire da solo, o con altri comprimari, a catalizzare l’attenzione sulla capacità sconfinata che ha il suo corpo di esprimere la contraddittorietà delle emozioni umane. E se il mistero dei grandi ballerini è quello di farsi così leggeri da diventare aria, superando i limiti della gravità corporea, Polulin rivendica la pesantezza della carne proprio nel momento in cui la spinge a superare sé stessa. Uno spettacolo (l’unico nella rassegna di quest’anno dedicato alla danza) dal titolo “Sacré”, diviso in due parti, che ha incantato il pubblico confermando o rivelando a chi non lo conoscesse l’immenso talento di un danzatore che ha ancora molta strada da percorrere. Nel primo atto “Fraudoulent Smile”, coreografie di Ross Freddie Ray, Polulin ha diviso la scena con altri danzatori tra cui Johan Kobborg, ex principal del Royal Ballet, dando forma alla rappresentazione della condizione umana che ruota intorno alla ricerca di celare la sofferenza dietro l’apparenza e l’inganno. Le musiche del trio polacco klezmer Kroke rendono contemporanea questa riflessione eppure l’estetica dei costumi rimanda un po’ a quella della Berlino pre-hitleriana di “Cabaret” trasformando l’intima denuncia in qualcosa che coinvolge tutta la società, prima dell’irreparabile. Il secondo atto con al centro solo Polulin è la versione della “Sagra della primavera” di Igor Stravinsky che la danzatrice e coreografa giapponese Yuka Oishi sembra avergli cucito addosso, facendo rivivere la figura del leggendario ballerino russo Vaslav Nijinsky. Un assolo senza smagliature in cui, dimenticato il personaggio mediatico, ci si ricorda di quanto meravigliosa può essere l’arte grazie alla capacità di un solo uomo di farsi emblema dell’universo interiore di ciascuno.