L’ultima cena dopo la veglia al Sepolcro chiude il cosiddetto Struscio. Sono d’obbligo la Zuppa di cozze e il veccillo
Di Olga Chieffi
Il Giovedì Santo ha anche a tavola le sue tradizioni, la zuppa di cozze alla napoletana e il veccillo. Sacro e profano sono due elementi che spesso si mischiano nella città di Napoli e nell’intero meridione. In pochissimi altri luoghi della Terra queste due facce convivono così in equilibrio come nella città partenopea. Una delle tradizioni più radicate nella cultura campana della settimana santa è quella della zuppa di cozze: immancabile nelle case e nei ristoranti cittadini, alcuni dei quali diventati dei veri e propri specialisti nella preparazione di questo piatto. Ma perché si mangia la zuppa di cozze proprio in concomitanza con l’ultima cena? Entra in scena la figura di Ferdinando I di Borbone, il “re lazzarone”, colui che più di tutti si è mischiato al proprio popolo nella storia monarchica delle Due Sicilie. Il sovrano, grande amante del cibo con una forte preferenza per il pesce, chiede spesso alla servitù di cucinare luculliani piatti da condividere con gli ospiti e le tante amanti. Ferdinando I non è solo ossessionato dal cibo “mangiato”: gli piace giocare in cucina, gli piace soprattutto “cacciarlo”. È un abile pescatore, si diletta di tanto in tanto nella caccia e crea delle vere e proprie riserve in cui allevare e pescare i molluschi. Riprende perfino un’antichissima usanza, risalente all’epoca Romana, della coltivazione di cozze pregiate nel territorio di Bacoli. Proprio con queste cozze inventa un piatto, le “Cozzeche dint’a Cannola”, ovvero “le cozze nella culla”: la culla in questione sono i pomodori di Sorrento, molto grossi, che accolgono un ripieno di cozze, aglio, capperi, origano, olio, sale, pepe e la muddica atturrata. Ma per la morale del ‘700 questo è un peccato di gola. Questa ricetta e in generale tutta la vita dedita al “peccato” di Ferdinando I non va proprio giù a Gregorio Maria Rocco, un frate domenicano molto stimato a corte. Non parliamo di un prelato qualsiasi: è una delle figure più carismatiche del tempo. Ferdinando non può quindi ignorare le parole di Gregorio Maria Rocco e gli promette di darsi una regolata durante la Settimana santa. Il sovrano però non resiste alla tentazione e ordina un piatto con le cozze per il giovedì santo, più “umile” rispetto ai pomodori ripieni. I cuochi preparano una zuppa di cozze, più leggera, con cozze appunto, olio di peperoncini piccanti e un po’ di salsa di pomodoro. La ricetta della zuppa del Giovedì Santo l’abbiamo gustata qui a Salerno da Raimondo Piombino e Giovanna Salvino, piccante al punto giusto con la granfa di polpo, morbidissimo, e il pomodorino, innaffiata da un buon calice di fiano e naturalmente speziata del sorriso familiare dell’intera crew dello storico locale. Chiudiamo il nostro percorso come da tradizione nell’antica Dolceria Pantaleone. La tradizione è quella del “veccillo”, un tortano di pasta brioche, profumatissimo, naturalmente con inserti di uova e granella di zucchero, da bissare il Sabato Santo. E’ questo il dolce per provare il forno prima di porre in cottura le celeberrime pastiere, che scioglieranno le campane della Risurrezione, unitamente alla speranza e all’incalzante Primavera. Oggi, il Venerdì trascorrerà sui ritmi lenti e sforzati dei riti della via Crucis, della adorazione della Croce e delle Tenebrae, sono gli uffici degli ultimi tre giorni della Settimana Santa. Le candele spente rappresentano l’ amore verso il Redentore, amore terreno che si fa sopraffare dalla paura, dal dolore, dalla cupidigia, dalle debolezze umane: «È l’ora delle tenebre», ma dietro l’altare la luce è eterna.