di Clemente Ultimo
Recuperare spazi e luoghi testimoni della storia cittadina, documentare la memoria orale prima che vada inevitabilmente dispersa, costruire una rete di piccoli archivi familiari con valore storico e documentaristico, in breve provare a ricucire i fili di una memoria condivisa in una città, Salerno, fin troppo distratta nei confronti della propria storia. Questa la sfida con cui sono pronte a cimentarsi due associazioni: la sezione salernitana dell’Istituto del Nastro Azzurro – ente che dal 1923 riunisce i decorati al valore – e Avalanche 1943. Un’idea che prende corpo all’indomani della cerimonia con cui, lo scorso 21 giugno, è stata apposta in largo San Giovanniello una targa destinata a ricordare i bombardamenti che, nell’estate del 1943, colpirono Salerno.
«Lo scorso 21 giugno – sottolinea Francesco De Cesare, commissario provinciale del Nastro Azzurro – molti abitanti del quartiere sono scesi spontaneamente in strada per raccontare storie di famiglia e ricordi legati al periodo bellico, confermando che c’è un patrimonio di memoria condivisa da raccogliere e tramandare. Grazie alle loro testimonianze è stato possibile individuare la probabile collocazione di un rifugio antiaereo di cui si era persa la memoria. A conferma che lavorando sul campo molto si può fare». Una prospettiva condivisa anche da Pasquale Capozzolo, presidente dell’associazione Avalanche 1943, attiva nella ricerca e nella valorizzazione delle tracce fisiche e documentali dello sbarco alleato del settembre ’43.
Quali possono essere i primi passi per favorire un recupero, oltre che una valorizzazione, della memoria e della storia della città?
Capozzolo: «Diffondere la conoscenza degli eventi che hanno caratterizzato la vita di Salerno è, a mio parere, il primo passo da compiere: senza conoscenza non ci può essere consapevolezza del patrimonio da recuperare e valorizzare. Per raggiungere questo risultato non è necessario immaginare necessariamente progetti faraonici: nel prossimo futuro, infatti, abbiamo intenzione di realizzare un pannello che racconti cosa è accaduto il 21 giugno del 1943 a Largo San Giovanniello e, più in generale, a Salerno. Piccoli passi, che tuttavia rappresentano il presupposto indispensabile per costruire un’azione di respiro più ampio».
De Cesare: «Possiamo partire dal replicare gli interventi ben realizzati, come il restauro della scritta “Out of Bounds”. Un intervento, con tanto di plexiglass protettivo, che recupera in maniera filologicamente corretta una traccia importante del nostro passato. E testimonianze come questa sono presenti in gran numero in città».
Piccoli interventi, ma diffusi sul territorio?
De Cesare: «Senza dubbio, Si potrebbero immaginare tante pietre d’inciampo lungo le strade e nei vicoli della città, ognuna capace di richiamare eventi di rilievo che nel corso dei secoli hanno caratterizzato e segnato la vita cittadino. E non solo sotto il profilo più strettamente storico: perché tralasciare la cultura, gli eventi legati alla tradizione popolare? In un orizzonte più ampio si potrebbe immaginare un’azione di recupero delle tante targhe e lapidi presenti in città, spesso neglette e dimenticate, ma importanti pezzi della nostra memoria. Collegando tutte queste piccole, ma non certo trascurabili, tracce si può dar vita ad un vero e proprio museo diffuso della città».
Capozzolo: «Naturalmente tutto questo sforzo deve essere inquadrato in una prospettiva di valorizzazione turistica, seppur in scala ridotta credo che il modello cui ispirarsi debba essere quello applicato con successo in Normandia. Una vecchia speranza è, in quest’ottica, il recupero del forte La Carnale, una struttura che con i suoi bunker e le piazzole per le artiglierie dell’antiaerea è già di per sé una testimonianza del periodo bellico e potrebbe ospitarne altre».
Altra sfida appassionante è quella che consiste nell’evitare la dispersione di documenti e testimonianze oggi in possesso delle famiglie salernitane, magari inconsapevoli detentori di tracce importanti del nostro passato.
Capozzolo: «Avviare un progetto di mappatura degli archivi familiari è importante e soprattutto fattibile. Troppe volte non ci si rende conto dell’importanza di fotografie, documenti e diari arrivati nelle nostre mani grazie a bisnonni, nonni e quant’altri, materiale che in casi non troppo rari finisce nell’immondizia quando si svuotano vecchie case. Dare un riferimento a chi è in possesso di questi archivi familiari può servire ad evitarne la perdita: personalmente mi è capitato, in occasione di una manifestazione me venne donato un reperto risalente alla seconda guerra mondiale da chi, avendolo in casa, non sapeva come conservarlo e valorizzarlo».
De Cesare: «Il censimento degli archivi familiari è un primo passo, in prospettiva si può arrivare alla costituzione di un vero e proprio centro documentale. Ci proveremo».
Salerno non sembra mai essere stata troppo attenta alla propria storia, perché?
De Cesare: «Solitamente è mancata la volontà politica. E c’è il concreto pericolo che se anche vi fosse verrebbero proposti modelli già superati. Forse è meglio lavorare sulla falsariga di quanto si è fatto lo scorso 21 giugno: partiamo dal basso, dalle scuole. Puntiamo a creare tanti piccoli luoghi della memoria».
Capozzolo: «In questo senso è interessante lo sforzo messo in campo dalla Provincia in vista del prossimo 8 settembre, ottantesimo anniversario dello sbarco alleato. C’è un buon lavoro di coordinamento e di promozione delle iniziative, potrebbe essere una base interessante da cui partire. Di certo su questi temi c’è una interessante risposta turistica, si può lavorare su interessi diffusi, magari accompagnati da un evento forza».