La scuola viennese secondo il Quartetto Terpsycordes - Le Cronache
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La scuola viennese secondo il Quartetto Terpsycordes

La scuola viennese secondo il Quartetto Terpsycordes

 

Stasera la formazione guidata da Girolamo Bottiglieri torna a Napoli, al teatro Sannazaro, per festeggiare i 100 anni dell’Associazione “A.Scarlatti”

 

Di OLGA CHIEFFI

Non poteva mancare il violinista Girolamo Bottiglieri, il quale ha ricevuto la sua prima formazione musicale proprio a Napoli, nella stagione del centenario dell’Associazione “Alessandro Scarlatti”. Girolamo si esibirà oggi alle 20,30, al Teatro Sannazaro, con il suo quartetto Terpsycordes, con i cui componenti dialoga dal 1997. La formazione è riuscita, negli anni, a creare una miscela unica di armonia e fusione, di innovazione e audacia interpretativa, grazie alle diverse scuole di archi e origini diverse dei suoi componenti, la tradizione italiana di Girolamo Bottiglieri, quella bulgara di Raya Raytcheva, la viola statunitense di Blythe Teh Engstroem, e il violoncello svizzero di François Grin, i quali scelgono nei loro progetti, una linea comune di interpretazione, pur mantenendo intatte le proprie caratteristiche stilistiche, senza scendere a compromessi. La giornata dei Terpsycordes inizierà presto domattina, con il quinto appuntamento di Parliamo di Musica per le Scuole, previsto per le ore 11, sempre in teatro, durante il quale i musicisti affronteranno tematiche e argomenti diversi: punti di vista che legano la musica alle materie di studio, producono connessioni, interazioni con diversi campi del sapere: letteratura, storia, geografia, in un ferace dialogo in cui gli strumentisti racconteranno il proprio percorso e la genesi di un progetto artistico. Per il concerto serale il Quartetto Terpsycordes ha scelto tre gemme assolute della letteratura cameristica. La serata principierà con il Quartetto in Sol minore op.20 n°3 di Franz Joseph Haydn che rappresenta il raggiungimento di un vertice artistico che compendia le sperimentazioni in ambito strumentale che il compositore aveva avuto occasione di fare in quanto Kapellmeister, presso la famiglia Esterházy, assieme alle tendenze storico-culturali dello Sturm und Drang. Riflettendo la preoccupazione con il modo minore nelle cosiddette Sinfonie “Sturm und Drang” composte da Haydn negli anni intorno al 1770, la raccolta di Quartetti op.20, in modo del tutto nuovo, ne contiene due in modo minore. I movimenti esterni del n.3 in sol minore sono nervosi, netti e a volte stranamente ellittici. In apertura l’ “Allegro con spirito”, il cui eccentrico tema principale comprende un quattro battute più una frase di tre misure, ondeggia tra la disperazione e frammenti che potremmo definire “da opera buffa” con il risultato di alternanza di momenti piacevoli e sinistri in cui comunque l’ascoltatore ha la sensazione di essere “preso in giro”. Il Minuetto desolato è alleviato dal suo squisito e cullante Trio in mi bemolle maggiore. Sia Minuetto che Trio svaniscono stranamente in do minore, un effetto che Haydn replica nel turbato pianissimo della coda. Sebbene strutturalmente sia una forma-sonata, il “Poco Adagio” è essenzialmente una fantasia su una sola melodia. Ciascuna delle sue apparizioni è caratterizzata da una nuova sonorità suggestiva. Nell’ “Allegro molto” che conclude il quartetto, Haydn fa largo uso di pause in funzione drammatica, terminando la composizione in modo inaspettato con un diminuendo da piano a pianissimo. “Il Quartetto è scritto per un gruppo ristretto di conoscitori e non deve essere mai eseguito in un concerto pubblico”. Sono le parole di Beethoven nel 1816 all’amico inglese George Smart, nella speranza che questi riuscisse a trovare un editore londinese disposto a pubblicare le sue composizioni più recenti, tra cui il Quartetto op. 95, scelto dai Terpsycordes per la platea napoletana. Si tratta di una pagina impulsiva, persino “violenta” nella sua compattezza formale e nel trattamento conflittuale del materiale tematico, con delle modulazioni repentine che sorprendono ancora oggi. Il sottotitolo “Serioso”, riportato dallo stesso musicista sul manoscritto autografo, trova una conferma immediata nel motivo brusco all’unisono che introduce l’Allegro con brio, il cui clima agitato è appena alleggerito da un secondo gruppo tematico più disteso. La seconda parte del concerto è interamente dedicata all’esecuzione dell’ultimo quartetto composto da Franz Schubert. Nella primavera del 1826 Schubert versa in uno stato deprimente. Poi, all’improvviso, nel giro di appena dieci giorni, tra il 20 e 30 giugno, termina uno dei lavori più idiomatici della sua produzione, il Quartetto in sol maggiore D 887. La durata del lavoro tocca quasi un’ora di musica, ma il carattere eccezionale non riguarda solo l’impressionante dilatazione del tempo, ma anche la scrittura di stampo del tutto nuovo. L’impegno tecnico e fisico, richiesto ai quattro strumentisti, specie nel primo e nell’ultimo movimento, rappresentano un salto di qualità non indifferente.

Il Quartetto infatti, sembra del tutto privo della determinazione a dirigere la musica verso la meta finale così caratteristica dello stile di Beethoven. Schubert esprime in questo lavoro un romanzo della memoria, che ripercorre l’esperienza del presente scavando nel passato, come per riportare a galla sensazioni lontane nel tempo. La nostalgia non è tuttavia il racconto melanconico di un uomo rassegnato, bensì la fonte di un drammatico confronto esistenziale con il mondo e con il presente. Consumato il calice di dolore, nei movimenti precedenti, la tragica impossibilità di accettare il destino della morte conduce alla grottesca tarantella dell’“Allegro assai” finale.