di Alfonso Malangone*
La notizia degli accertamenti avviati dalla Magistratura su alcune attività della ristorazione è un duro colpo all’immagine della Città, benché nulla sia ancora definito. Ma, è anche la dimostrazione di quanto fragile possa essere la consistenza di alcuni dei locali che costituiscono ormai la principale fonte di lavoro nell’area Storica e in quella Moderna, fino al fiume Irno. Bar, pizzerie, friggitorie, paninerie, ristoranti, tavole calde, trattorie, sono ad ogni angolo di ogni palazzo, offrendo una parvenza di prosperità che, salvo debite eccezioni, nasconde ben diversa verità, come dimostrato dalla chiusura di una quindicina di queste attività negli ultimi mesi (fonte: pagine web). In questo contesto, non sono necessari poteri magici per prevedere un futuro denso di incognite, ancor più a causa di ricorrenti nuove aperture, davvero inspiegabili, in un mercato ormai saturo per eccesso di offerta. Così, non dovrebbero mancare interventi pubblici di indirizzo, affiancamento e sostegno perché, se è vero che sono i privati a fare il mercato, è altrettanto vero che le conseguenze delle loro scelte imprudenti sono poi messe a carico dell’intera Comunità.
La prima cosa da fare, volendo davvero affrontare il problema, è certamene quella di evitare confusioni, almeno tra i non addetti ai lavori. Ascoltando le voci che hanno espresso preoccupazione, è emersa l’equiparazione tra ristorazione e commercio, in crisi anche più profonda, laddove si tratta di comparti ben differenti. E’ la normativa a fare la distinzione (fonte: Surap Campania) ed è stata la Corte di Cassazione a sottolinearla: i locali della somministrazione (bar e altri) e quelli della ristorazione (pizzerie e altri) non rientrano tra le attività commerciali (fonte: Sentenza 9402/2019). In sostanza, facendo una selezione ‘grossolana’, a parte il caso dei negozi alimentari di vicinato, che rientrano nel commercio pur se preparano le ‘colazioni’, tutti gli altri esercizi, dalle piccole caffetterie ai locali stellati, sono sottoposti a una specifica regolamentazione, anche con richiami all’artigianato. Gli addetti, poi, sono inquadrati in un proprio Contratto Nazionale, insieme al Turismo, distinto da quello del Commercio (fonte: Federlavoro). Così, se in Città si chiudono anche molte attività commerciali, non è corretto fare di tutt’erba un fascio, poiché la ristorazione non si regge solo sulla domanda dei consumatori, ma anche sulla qualità delle preparazioni, dell’offerta gastronomica, delle caratteristiche dei locali e dei servizi, con effetti diretti sulla vitalità di ciascun esercizio. Al riguardo, non è superfluo sottolineare la presenza, soprattutto nel Centro Storico, di locali al limite della praticabilità, per dimensioni e condizioni, anche dei servizi igienici, con menu elementari e, se ci sono, con un numero inadeguato di tavoli, anche se occupati per più turni. È possibile, quindi, che una buona parte delle criticità sia l’effetto di un eccesso di inaugurazioni da parte di attività con margini reddituali insufficienti a coprire pure solo il fitto del locale o il pagamento delle utenze. Senza dimenticare che i negozi artigianali da asporto proliferano più dei funghi dopo le piogge di settembre, tagliando ulteriormente la richiesta di coperti. Per questo, se alcuni sono costretti a chiudere, altri possono non godere di buon vento e, magari, reagiscono puntando sui decibel di musiche spaccatimpani per ingolosire i giovani, svilendo la qualità dell’intera Città. Ovviamente, discorso diverso va fatto per i locali di livello superiore che intercettano una domanda residuale, ma affezionata e praticamente stabile. A parte i colpi inferti dalla pandemia, dalla crisi e dall’inflazione, una ulteriore causa di difficoltà è costituita dalla decrescita demografica che prosegue, inarrestabile, da oltre un decennio. Gli ultimi dati disponibili dicono che nei primi dieci mesi del 2023 la popolazione è diminuita di ben 1.461 unità, passando dai 128.136 residenti di fine 2022 ai 126.675 di fine ottobre. Solo nel 2015, c’erano 135.261 presenze (fonte: Istat). Intanto, la Città ha certamente perso forza attrattiva nei confronti della Provincia e sono cresciute le offerte da parte di attività di ristorazione, in zone prossime, con un più favorevole rapporto qualità/prezzo. In sostanza, sono molte le motivazioni in grado di frenare la domanda, condizionandola fortemente nei periodi ordinari, mentre è noto che in tempi di ‘balocchi e profumi’ le cose assumono un più favorevole andamento. Ma: “fino a quando”? Tra aprile e maggio aprirà il nuovo Maximall di Pompei/Torre Annunziata che disporrà, si legge, di 30 ristoranti, 130 negozi, un albergo a 4stelle con 135 camere, 8 sale cinematografiche, un teatro, una sala conferenza, un anfiteatro, parcheggi per 5000 auto e 40 bus turistici, un’area verde di 50mila mq di cui 6 mila coperti. Di più. Per attrarre il turismo crocieristico, è stato dragato fino a 10 metri il fondale del porto di Torre Annunziata e sono in corso lavori in quello di Castellammare di Stabia (fonte: Aut.Portuale). Il richiamo degli scavi di Pompei è un forte elemento di attrazione e può pure accadere che qualche nave da crociera decida di non venire più in Città. Sarebbe opportuno affrontare questo problema, se non già fatto. Da quanto detto, appare evidente che la soluzione dei problemi della ristorazione debba essere ricercata osservandola da una giusta angolazione, evitando proprio di confonderla con il commercio, delle cui criticità si potrà parlare in altra occasione. E, quindi, non sarebbero opportune le proposte unitarie di trasformare la Città in un ‘luna-park’ perenne, perché essa è la culla della vita di tutti, non solo degli operatori economici. Né potrebbero essere accolti con favore interventi su mobilità, traffico, zone pedonali, parcheggi, se volti a soddisfare interessi specifici coinvolgendo, in negativo, la Comunità intera. Servono soluzioni appropriate, di lungo periodo, non episodiche, frammentarie o del tipo ‘si salvi chi può’.
Per fare questo, sarebbe doveroso iniziare a riflettere sulle conseguenze di molti interventi edilizi e di molte disattenzioni che hanno appiattito l’immagine della Città rendendola un informe e uniforme contenitore nel quale si sono perse identità e vocazione. Oggi, forse, Salerno è l’unica Città di mare, o sul mare, priva di un ‘Borgo Marinaro’, luogo simbolico delle origini, della cultura e delle tradizioni. Forse, è l’unica Città che non ostenta le sue memorie millenarie, in desolante abbandono. Forse, è anche una delle poche che, pur disponendo di spiagge frequentabili in inverno, mette a disposizione dei visitatori una semplice passeggiata sul lungomare. Eppure, è noto che solo valorizzando l’identità di un luogo, in funzione di una complementare diversità rispetto agli altri, possono essere incentivati flussi continui, anche scollegati da qualsiasi evento di richiamo. Perché, l’unico motivo valido per indurre a visitare una Città è quello di esaltare la sua qualità intrinseca, non proporre qualche festa per offrire ‘goduria’ e ‘sollazzo’ a vandali invasori muniti di ‘pane e frittata’.
Per progettare un futuro di sviluppo, si debbono realizzare pilastri forti su una fondazione ben armata e solida. Salerno avrebbe le ricchezze giuste, per far sentire la sua voce. Se fosse messa in condizioni di parlare.
*Ali per la Città