La responsabilità di omaggiare Gigi Proietti - Le Cronache Spettacolo e Cultura

Di Olga Chieffi “

A mio padre devo la vita, al mio Maestro una vita che vale la pena essere vissuta”, soleva ripetere Alessandro Magno del suo Maestro Aristotele. Maestro è un termine di cui si abusa, senza rispettarne l’intenso significato: “Maestro” era l’appellativo di Gesù Cristo nei Vangeli, Maestro è l’omaggio dei contemporanei ai grandi del Rinascimento. Oggi è banalizzato, nelle arti, nella scuola, in teatro. Il Maestro è generoso, offre aiuto, suggerimenti, ispirazione dentro e fuori l’aula, segnala svolte e insegna prospettive, indica una via e la illumina, col proprio esempio, col proprio “fare”, col proprio porsi sempre in gioco, instilla il dubbio, che è la via per uscire dalla “selva”, un passaggio sicuro fatto di pochi principi chiari, su cui procedere, lavora indefessamente con severità, nella costruzione del sapere, senza mai aggobbire sotto sistemi pre-confezionati, verso sempre nuovi traguardi, conquistati in prima persona. La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, di accendere una scintilla in chi viene dopo, un piacere puro, “gratuito”, quindi, impopolare. E’ l’esercizio più “pathico”, sofferto, emozionale, di ricordare il Maestro che ti ha messo in mano gli strumenti per affrontare la vita, aprendoti la porta e permettendoti di “fare” nel segno del “poiein” l’essenza del proprio lavoro che, in greco, ha la stessa radice di poesia. La disparizione emana verso di noi il fiore di un’amara, ma nuova primavera, di un’era da esplorare, in cui ritagliare una nuova terra d’amicizia e colloquio. Pure ci sollecita l’urgenza d’intrecciare, senza sosta, visibile e invisibile, per costruirci un veicolo, non so, magico di contatto che può essere la musica, un’immagine, un libro, una nuvola, quei raggi di sole che s’infilano tra le foglie, un tramonto particolare. Quando a lasciarci, solo fisicamente, è un artista è certamente più semplice, poiché ogni qualvolta si studia un copione, si insiste su di una battuta che non riesce, si ricerca un’ espressione, una lettura particolare, o si inizia al teatro un giovanissimo, lo si sente vicino e si trova la strada per continuare a trasmettere il suo insegnamento. Questa la sensazione che ci ha dato Claudio Pallottini, unitamente a Marco Simeoli e Carlo Ragone, che ieri a palazzo Sant’Agostino, ospiti di Francesco Morra, consigliere con delega alla cultura valorizzazione dei beni museali, dell’amministrazione provinciale, ha presentato il volume, dedicato al suo maestro “Gigi Proietti. Insegnamenti e chiacchere sul teatro, sull’attore e su altre amenità” in libreria per la Carrocci editore, pubblicato nel 2023, a tre anni dalla scomparsa del Maestro. Pallottini, attore e sceneggiatore nonché allievo e spalla del grande Gigi, che ha scritto per Proietti sketch, sceneggiature e commedie, ha inteso affrontare questo duro lavoro dove ha raccolto i ricordi e le testimonianze, che permettono in minima parte di colmare in parte questo vuoto. Nel leggerlo si ha la netta sensazione di essere trasportati dietro le quinte degli spettacoli recitati da Proietti, ma anche di riuscire ad avvicinarsi in punta di piedi al suo lavoro, ai suoi pensieri, alla sua vita. In sala Carmen Stanzione e la figlia Carlotta hanno cercato di schizzare il ritratto di Gigi ad una platea di liceali del liceo Alfano I e del liceo artistico Sabatini-Menna, i quali poco hanno interagito con i relatori. Personalmente, abbiamo incontrato Gigi Proietti al Teatro Verdi, per due stellari produzioni delle mirabolanti stagioni, del 2009 e 2010, un Nabucco e una Carmen. La regia d’opera uno dei suoi “diletti”, ricordiamo per Nabucco, grande cast e l’opera d’elezione di Daniel Oren, si affidò totalmente all’emozione musicale, con il coro in fogge ottocentesche che “partoriva” i personaggi principali come in un sogno esotico, quale fu quello di Giuseppe Verdi, l’idea di aprire qui a Salerno un laboratorio di teatro, con uno specifico settore riservato ai cantanti lirici che spesso mancano dei fondamentali, in gemellaggio con Roma, dopo che la scuola, dalla quale sono uscite diverse professionalità fu chiusa dalla Regione Lazio, senza un effettivo motivo. “Se si riuscirà a trovare spazio – disse – e tempo per un progetto del genere, io sono disponibile, ma devo poter assicurare la mia presenza e mantenere le promesse, poiché la scuola è una cosa importante, pilota il futuro della società non deve rappresentare solo la vetrina per qualche politico, intervenuto al taglio del nastro”. Sono le linee guida che ha rivelato voler seguire anche Carlotta Proietti, alla testa della fondazione dedicata al padre, con i prossimi progetti che prevedono una mostra, ma qualcosa in modo di approfondire la recherche sulla figura del grande uomo di teatro, nonché la formazione sulle linee che sono sempre stati i principi del padre, unitamente alla riapertura del Globe il teatro elisabettiano, sequestrato dopo il crollo di una scala. Tanti gli aneddoti raccontati per interessare i ragazzi, da parte di Marco Simeoli e Carlo Ragone, dall’incontro con Eduardo che gli voleva far recitare “La grande magia”, ma si convinse che non gli piacesse al suo “consegnarlo al pubblico”, baciandogli le mani, al gioco di lanciare la maschera a Carlo, poiché la maschera non deve mai cadere, porta male e in un momento di sua assenza dietro le quinte, il richiamo live dal palcoscenico ”Ndo’ stai?” grandissima lezione di attenzione al palcoscenico e a tutti, in ogni momento dello spettacolo. E ancora, le notti trascorse a parlare, a raccontare dopo lo spettacolo, sino all’alba, per sbollire l’adrenalina, per vivere quell’ After hours, un termine che ci viene dal jazz quando gli strumentisti ultimato lo spettacolo, il concerto, il servizio nella ballroom, restavano a suonare per loro stessi, il principio della ricerca della distrazione, del divertimento tra musicisti che improvvisavano dialogando fra loro con quel linguaggio dell’azzardo, per andare oltre. Al nume tutelare Gigi Proietti, artista a tutto tondo, e ai suoi allievi, oggi maestri, quale talismano per tutto ciò che affronteranno in scena osiamo dedicare la definizione di musica e, quindi di arte, di John Cage “… La musica è un “gioco senza scopo” dove gioco ha il significato di pura avventura (…) Questo gioco è, pertanto, un’affermazione di vita; non un tentativo di portare ordine nel caos o di tentare progressi creativi, ma semplicemente un modo di svegliarsi alla vita che stiamo vivendo”.