Dai violini delle gemelle Gibboni, alle marce della sfilata in sovrapposizione alle litanie e ai canti del coro diocesano guidato da Don Michele Pecoraro per un San Matteo in tono minore
Di Olga Chieffi
“Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento….” la lunghissima processione conclusasi con l’ascesa al duomo intorno alle 22, ci ha ricordato uno dei Canti Orfici di Dino Campana, “Barche amorrate”. Se i tre Martiri salernitani insieme a San Gregorio VII erano ornati con una randa e alle spalle di San Matteo intravedevamo il velaccio e il controvelaccio dell’albero maestro di un veliero, le vele sono state, come non mai, per circa un mese, gonfiate da miserrime tempeste di loquele, sfociate nel nulla di una processione senza timoniere, in balia di un instante vuoto e infinito. Attraverso gli altoparlanti posizionati a volume assordante e straniante lungo l’intero percorso, abbiamo dovuto sorbirci quattro ore di litanie, lamentazioni, cori e invocazioni, incluse le direzioni per il non facile allineamento di tutti i partecipanti alla processione, che ha provocato un significativo ritardo, lungo l’itinerario. Preghiere e canti del coro diocesano, che il più delle volte si sono sovrapposte alle esecuzioni dei marciabili affidati alle tre formazioni bandistiche, purtroppo mal coordinate tra di loro. Ma nella gran confusione di suoni, distinte si sono potute ascoltare le marce della formazione dei Giovani Vietresi, che si è affidata a marce di tradizione quali Sfilata di Nino Ippolito o Alentejo, capaci di adattarsi all’eterna danza, anche sul posto, durante il ristoro prima di rientrare in duomo delle statue dei Martiri Salernitani, le più leggere. La banda dell’Associazione Mousikè, guidata dal M° Giuseppe Genovese, si è cimentato con pagine che hanno guardato all’Oriente con Cinesina ad Enea, posizionata com’era tra San Gregorio VII, la statua più preziosa e San Giuseppe, la statua più pesante, quest’ultima con un addobbo che già preludeva al Natale, tra stelle e puttini musicanti in un grande cerchio, simbolo del ciclo perenne della vita, d’eternità e di perfezione. La formazione del M° Genovese si è quindi caricata anche del compito di intrattenere i visitatori nel duomo, nell’immediato post processione, per l’omaggio che i Salernitani amano fare ai Santi finalmente rientrati nella loro casa, magari sottraendo un fiore. La ribalta, durante l’intero corso della sfilata, seguita anche dall’emittente della Curia, l’hanno rubato le gemelle del violino, Annastella e Donatella Gibboni, virtuose figlie d’arte di papà Daniele e di mamma Gerardina, le quali hanno dedicato, a quanti non hanno potuto seguire la processione, la celebre Passacaglia dalla Suite in G Minor HWV 432 per clavicembalo, di Georg Friderch Haendel, trascritta da Johan Halvorsen, unitamente al quarto Capriccio op.18 di Henri Wieniawski, il Paganini polacco, una pagina virtuositica, galante e leziosa. La chiusura la riserviamo allo storico Gran Concerto Bandistico “Città di Salerno” di Rosario Barbarulo, che abbiamo ascoltato omaggiare le piazze del centro Storico nell’avvicinamento alla cattedrale delle più complesse marce sinfoniche del repertorio, per quindi nella principale Via Roma presentarsi alla cittadinanza sulle note della marcia spagnola Amadeus, dedicata dal M° Antonio Florio allo stalloncino di famiglia, dal manto nero, prima di “ritirarsi” in duomo sulle note di “Star & Stripes”, quasi ad evocare quel settembre del 1943, con la magnum opus di Sousa, e il suo famoso trio e l’obbligato riservato all’ottavino che, ieri mattina è stato quello sopra le righe di Michele Barbarulo, il quale, con i suoi due virtuosistici obbligati ha ottenuto l’entusiastico consenso di tutti i presenti.