di Matteo Gallo
Da studentessa, con lo zaino sulle spalle e i sogni nel cuore, aveva riempito le prime importanti pagine della sua formazione umanistica proprio al liceo classico Torquato Tasso di piazza San Francesco che da quest’anno è stata chiamata a guidare. Un cerchio che si chiude per la dirigente Ida Lenza, donna di grande affabilità e preparazione, già timoniere dell’istituto comprensivo Rita Levi Montalcini e per lungo tempo, prima di allora, professoressa di latino e greco. Un robusto percorso curricolare, quello da docente, con titoli di testa nell’affollata provincia partenopea, a Pomigliano d’Arco, e di coda al liceo De Sanctis di Salerno anche nella veste di vicepreside. «Inizialmente» confessa «avevo immaginato di dedicarmi alla ricerca. Ma poi, grazie agli incontri della vita e a una serie di felici dinamiche, mi sono incamminata con consapevolezza, passione e impegno sulla strada dell’insegnamento».
Come nasce invece, preside Lenza, la sua successiva decisione
di diventare dirigente scolastico?
«E’ stata una scelta animata dalla volontà di comprendere il mondo e l’organizzazione della scuola, di un sistema così complesso e ricco sul piano delle relazioni umani e professionali, non solo attraverso il rapporto d’aula».
Chi sono stati i suoi maestri nella vita e nella professione?
«Innanzitutto la mia famiglia, alla quale sarò per sempre grata. Il mio professore di latino e greco alle scuole superiori, Anacleto Positiglione, esempio luminoso per preparazione culturale e capacità di vivere il rapporto con gli studenti. A lui dedicheremo un’aula del liceo Tasso per volontà di chi mi ha preceduta, la dirigente Santarcangelo. E naturalmente il preside Francesco Fasolino, che ho avuto l’onore di incontrare quando provavo a comprendere meglio il funzionamento della scuola. Un grande maestro».
Qual è, secondo lei, lo stato di salute della scuola italiana?
«Nella scuola italiana si combattono due anime. C’è l’anima dell’innovazione, del Pnrr e delle nuove metodologie. Un’ anima in movimento che guarda al futuro. Ma c’è anche l’anima datata, vetusta, ancora legata a una edilizia scolastica deficitaria in deroga alle norme sulla sicurezza. Un’anima, questa, colpevolmente ferma».
Due anime non solo diverse e distanti ma inconciliabili…
«Due anime che in questa fase intermedia dovrebbero trovare quantomeno il necessario equilibrio. Ma così non è e allora succede che nelle scuole italiane, ad esempio, ci sono barriere architettoniche che confliggono con le aule immersive. Un doloroso paradosso. Inoltre, se posso aggiungere…».
Prego, preside.
«Negli ultimi anni la scuola è sovraccaricata sotto tutti i punti di vista e le vengono richiesti sforzi sovrumani nonostante il personale sia sottodimensionato e, sul piano contrattuale, non tutelato e considerato in maniera adeguata».
Cosa potrebbe, e dovrebbe, fare di più la politica?
«Intervenire in maniera urgente e risolutiva sull’edilizia scolastica, rispetto alla quale si gioca anche la serenità di tanti colleghi, è una condicio sine qua non. La deresponsabilizzazione, di fatto, degli enti locali come Provincia e Comune lascia i dirigenti in prima linea a combattere senza disporre di “armi”, ovvero con un potere di spesa pari a zero. Sicurezza degli edifici significa benessere della scuola, in primis degli alunni e delle loro famiglie e, naturalmente, di chi vi lavora a tutti i livelli di responsabilità. Inoltre, un’edilizia di valore incide sulla qualità del tempo trascorso all’interno delle strutture e sullo stesso apprendimento».
Politica e mondo della scuola: ci si parla poco, o troppo?
«Manca un reale raccordo con le reali esigenze dei diversi contesti territoriali. La stessa distanza che ancora esiste tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro c’è anche tra l’istituzione scolastica e chi, a livello centrale sul piano politico, decide le sue sorti».
Nuove generazioni. Dal suo osservatorio – senza dubbio privilegiato – gli adolescenti in cosa sono più forti e in cosa, invece, più ‘deboli’ rispetto a chi li ha preceduti?
«Le nuove generazioni sono molto forti nelle relazioni ‘social’, vivono con naturalezza e grande abilità la dimensione virtuale ma risultano troppo spesso incapaci di gestire la realtà. Le nuove tecnologie non vanno demonizzate ma le relazioni umane restano centrali. La vita vera lo è».
Lei riscontra nei ragazzi una particolare fragilità emotiva?
«Assolutamente. I ragazzi devono imparare a gestire il conflitto e gli errori senza farsi crollare il mondo addosso. Gli errori, se sappiamo affrontarli e superarli, sono i nostri migliori alleati perché ci migliorano e fortificano. Non siamo macchine perfette. Siamo umani e dobbiamo restare tali».
La corresponsabilità tra scuola e genitori per l’educazione delle nuove generazioni è tra i principi fondamentali espressi nella Costituzione. Quale la strada maestra?
«Famiglia e scuola hanno diritti e doveri equipollenti. Un’alleanza educativa reale e efficace deve porre le fondamenta sulla condivisione degli stessi valori nel rispetto dei ruoli».
L’autonomia scolastica ha prodotto (anche) una competizione spinta tra istituti.
Un bene o un male?
«L’autonomia scolastica esiste più nella mente del legislatore che nella realtà dei fatti. Per una scuola l’autonomia si realizza sempre e comunque all’interno di un perimetro di leggi cogenti e stringenti. La competizione, poi, è chiaramente un errore. La scuola deve riappropriarsi del suo valore autentico che è culturale e formativo».
Dimensionamento scolastico: qual è il suo pensiero?
«Ci sono contesti sociali in cui la scuola resta l’unico presidio di legalità. Accorpare e tagliare istituti sulla base di parametri matematici non vuol dire soltanto avere meno dirigenti ma anche ridurre il numero di docenti e in tantissimi casi impoverire il territorio e le comunità».
Il rapporto con i nuovi canali di comunicazione investe direttamente anche il mondo della scuola. Mi riferisco in particolare ai social network e alla presenza su queste piattaforme di docenti e dirigenti.
«La tecnologia è pervasiva e alcune cose, pur volendo osservare la massima attenzione, possono scappare di mano. L’educazione all’uso consapevole dei nuovi strumenti di comunicazione digitale è necessaria per i ragazzi ma anche per gli adulti. Rispetto invece alle comunicazioni tra scuola e famiglia, così come tra scuola e docenti, ritengo che la scuola, pur restando aperta al progresso, debba esclusivamente seguire i canali istituzionali».
Intelligenza artificiale e digitalizzazione: anche la scuola è chiamata ad “abitare” un tempo nuovo. Una vera e propria sfida dell’innovazione per dare agli studenti le chiavi di lettura del futuro. A che punto siamo?
«La mia preoccupazione è che questa accelerata non venga governata sul piano culturale, etico e morale. Rispetto a un processo così rilevante per l’uomo e la società, siamo sicuri che ci stiamo interrogando e adoperando per non subirlo?»