La preside Barone: “Da agorà a trincea. Attenzioneai social - Le Cronache
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La preside Barone: “Da agorà a trincea. Attenzioneai social

La preside Barone: “Da agorà a trincea. Attenzioneai social

di Matteo Gallo

Elisabetta Barone, alla guida del liceo Alfano I di Salerno, è una dirigente scolastica  dal pensiero raffinato. Una donna di cultura e di fede con una passione autentica per la politica e un amore profondo per la danza. La sua formazione accademica è segnata dall’imprinting per la ricerca e dalla laurea in filosofia conseguita cum laude in un brillante percorso universitario. A venticinque anni il concorso a cattedra e la successiva immissione in ruolo. Un sogno che al suono della campanella esce dal cassetto per entrare in aula: «Ho scoperto la vocazione educativa da adolescente insegnando ballo. Già allora» racconta la preside salernitana «mi ponevo domande sul senso della vita e così, spinta da quel costante interrogare me stessa, scelsi di approfondire lo studio della filosofia vivendo allo stesso tempo, attraverso l’impegno come educatrice in Azione cattolica, una piena adesione ai valori cristiani». Oggi Barone siede anche tra i banchi del Consiglio comunale, all’opposizione dell’attuale maggioranza di governo, e coordina la redazione meridionale della rivista Filosofia e Teologia. «La decisione di intraprendere la carriera di dirigente scolastica» sottolinea «è maturata dopo vent’anni di docenza quale esigenza di una nuova sfida professionale. Era il duemilasette. Il mio compito, adesso come allora, resta  sempre lo stesso». 
Qual è questo compito, preside Barone? 
«Contribuire alla formazione e alla crescita degli studenti. Assicurare loro l’acquisizione di autonomia e responsabilità nell’orizzonte di una partecipazione attiva alla vita e al bene comune. Lavorare con il massimo dell’impegno prestando cura e attenzione all’intera comunità scolastica».  

Chi sono stati, nella vita, i suoi maestri?
«Innanzitutto i miei genitori. Sono loro che mi hanno educato ai valori della fraternità e all’assunzione di responsabilità nei confronti dei più deboli. Mio padre, un uomo di straordinaria generosità, era solito tornare a casa dal lavoro in compagnia di persone senza fissa dimora: «Oggi mangia con noi». Esordiva sempre così. Aveva un cuore enorme». 

Nella professione, invece, quali sono state le sue guide?
«Gli incontri preziosi sono stati tanti. In modo particolare sono grata al professore universitario Giuseppe Zarone,  titolare della cattedra di filosofia morale con il quale ho avuto anche l’onore di collaborare per vent’anni». 

Qual è, secondo lei, lo stato di salute della scuola italiana?
«Esattamente il medesimo stato di salute della politica e dei governi italiani degli ultimi anni». 

Cioè?
«Non buono»

Che cosa non funziona adeguatamente?
«La rinuncia a educare, da parte della scuola, ha finito per definire quale obiettivo primario dell’istituzione quello di addestrare gli adolescenti alle competenze tecniche. Da qui il mito del successo e della competitività esagerata. Il primato del saper fare, purtroppo, è prevalso sul primato dell’essere. Bisogna capovolgere il tavolo. La vera partita è sui valori e riguarda per intero la società».  

Con il Piano di ripresa e resilienza la scuola è stata destinataria di importanti risorse finanziarie. Cosa potrebbe, e dovrebbe, fare di più la politica?
«Stiamo investendo somme cospicue per il potenziamento e l’adeguamento tecnologico così come per l’attivazione di azioni mirate alla prevenzione della dispersione scolastica. Senza dubbio è una cosa buona ma…»

Ma…?
«Troppo poco continua a essere fatto sul fronte dell’edilizia scolastica. Come si può educare le giovani generazioni alla legalità se le scuole non rispettano le norme sulla sicurezza? Come si può garantire il pieno benessere degli studenti se le strutture sono fatiscenti e per nulla accoglienti?».  

Semplice: non si può.
«Appunto. Gli istituti scolastici sono stati costruiti, per il settanta per cento, prima delle leggi antisismiche e della sostenibilità ambientale. Bisogna fare qualcosa di importante, e bisogna farlo adesso. Nessuno, allo stato attuale, può davvero affermare di prestare attenzione alla scuola». 

Dal suo osservatorio, sicuramente privilegiato, le giovani generazioni di oggi in cosa sono più fragili rispetto a chi le ha precedute?  
«Sono molto fragili sul piano emotivo. Hanno difficoltà a relazionarsi con gli ostacoli della vita, la durezza della realtà e le ingiustizie della società. Tutto questo viene vissuto con frustrazione e fallimento. Circondati un po’ ovunque da miti di successo, veri o falsi ma in ogni caso amplificati dalla società dell’immagine fine a se stessa, questi ragazzi si ritrovano in compagnia dell’ansia da prestazione. “Se non sei superman, non sei nulla. Se non hai successo, sei fuorigioco». Messaggi profondamente e pericolosamente sbagliati che si stanno sedimentando». 

Un punto di forza, invece? 
«Sicuramente la familiarità con la tecnologia che costituisce, con tutta evidenza, una marcia in più nel lavoro e in modo particolare nell’ambito delle professioni del futuro. Inoltre,  anche attraverso la tecnologia i ragazzi riescono a esprimere la loro straordinaria creatività in ambiti differenti». 

La tecnologia è preziosa ma anche pericolosa quando i processi attivati dal progresso non vengono governati ma subiti, non risultano accompagnati da contenuti etici ma  semplicemente da competenze tecniche. Non trova? 
«Alla tecnologia non può essere consegnata una delega in bianco, e la stessa cosa vale per la Rete. Le giovani generazioni vanno educate all’uso responsabile e consapevole dei nuovi strumenti che il progresso tecnologico ci sta consegnando con grande velocità».  

I social network hanno radicalmente trasformato le nostre vite nell’ultimo decennio. Le nostre, di tutti, ma soprattutto quelle dei più giovani. 
«Le piattaforme social sono un potentissimo strumento di comunicazione, un luogo virtuale-reale per relazionarsi con gli altri a livello professionale e di amicizia, per condividere informazioni sulla propria vita, per socializzare emozioni e sentimenti…». 

…insomma non una cosa da poco.
«Assolutamente non lo è. Spesso le piattaforme social, da agorà di condivisione, diventano una sorta di piazza d’armi, un campo di battaglia, una trincea. Non bisogna mai abbassare la guardia e soprattutto – ripeto – nessuna delega in bianco».

Con l’autonomia scolastica ha preso piede anche una forte competizione tra istituti dello stesso territorio. Un bene o un male? 
«Autonomia non significa individualismo. Si è autonomi in modo pieno e autentico,  generando ricchezza condivisa senza togliere nulla agli altri, solo operando in una dimensione realmente comunitaria».  

Alleanza educativa scuola-famiglia: qual è la strada maestra per rafforzarla e rilanciarla nell’interesse esclusivo degli studenti? 
«Oggi non esiste la famiglia ma esistono ‘le famiglie’, una pluralità di modelli all’interno dello stesso universo. Se non si parte da questo dato di fondo qualsiasi strategia d’azione risulterà inefficace. L’alleanza educativa va fondata necessariamente sull’adulto come figura centrale e responsabile perché per qualsiasi modello di famiglia, in ogni tempo compreso questo nostro tempo così complesso, non esiste un core business che non sia quello di prendersi cura della crescita dei propri figli».