Di Antonio Manzo
Anche la ministra del turismo Daniela Santanchè potrà vedere di persona mercoledì prossimo lo scempio della scala di ferro che sfregia la Certosa di Padula, la più grande in Italia. Anche lei, come il suo collega di Governo, Gennaro Sangiuliano, non solo vedrà un obbrobrio ma certamente ne ordinerà la rimozione. Così come fecero l’ex ministro Sangiuliano e il direttore dei musei della Campania Massimo Osanna il 17 maggio scorso. Sangiuliano promise che entro dicembre la scala sfregio sarebbe stata rimossa. Poi alterne vicende che è giusto non far “risalire” le scale fecero saltare la demolizione, sia pure ocn la certificazione finale di un obbrorio demolito e costato allo Stato centinaia di migliaia di euro. Ora c’è un nuovo inquilino al ministero dei beni culturali, Alessandro Giuli che ora si ritrova con l’obbrobrio su un monumento storico del 1300, con un personale dimezzato e 40mila visitatori l’anno a fronte degli oltre 200 mila di dieci anni fa. Quando, per capirci, la Certosa ospitava un concerto del flauto d’oro Severino Gazzelloni nell’antica foresteria dove oggi celebrano impropriamente matrimoni e cantanti neo melodici. La raffinata cultura del ministro Giuli capirà lo scempio che viene quotidianamente fatto al monumento con la sconsiderata gestione oltre quello compiuto con la scala di ferro. La narrazione pubblica comincia a divulgare il decadimento culturale del monumento. Ma è solo l’analisi nefasta ma distrazione di massa per favorire il passaggio nelle mani di privati del complesso monumentale nell’abito di un progetto per la conquista di beni pubblici in Basilicata, Calabria e Campania. Dovrebbe essere il primo sistema di distretti turistico d’Italia. E come se potessero proporre la nuova destinazione turistica al patrimonio archeologico di Paestum nelle stesse ore in cui si organizza la 26esima edizione della Borsa Archeologica Mediterranea. Tutto avviene nel silenzio delle autorità locali, come, ad esempio, il sindaco di Padula territorio nel quale ricade le monumentale struttura, i consiglieri regionali del territorio e le istituzioni che possono essere silenziate con briciole clientelari per il modesto numero di personale da occupare personale. Ora sarà la presidenza del parco nazionale del Cilento che firmò la convenzione con l’Unesco per il patrimonio dell’umanità per la Certosa a intervenire con la saggezza dovuta nella difesa del bene storico. La retorica del discorso pubblico italiano vince anche in questo caso. inquinamento. I tentativi di messa a reddito di un patrimonio non meno oscuro (almeno nella coscienza della classe dirigente italiana) l’hanno usurato materialmente, ne hanno distrutto la funzione costituzionale, hanno prodotto inquinamento culturale. La privatizzazione del sistema museale italiano (avviata da Alberto Ronchey nei primi anni novanta) ha prodotto un oligopolio di pochi concessionari con importanti connessioni politiche; pochi posti di lavoro stabili; una produzione culturale di infima qualità (la cosiddetta “valorizzazione”); e non di rado danni materiali al patrimonio. È quello che potrebbe accadere a Padula oltre che sui beni artistici di Campania Calabria e Basilicata. Già nel 2008, Sandro Bondi allora ministro dei beni culturali dimezzò il bilancio (allora attestato sui tre miliardi e mezzo l’anno, già insufficienti), cosa che fecero anche i cuoi successori Giancarlo Galan e Lorenzo Ornaghi. In gioco c’è la dignità dell’Italia come opportunamente fa notare l’Osservatorio Europeo del Paesaggio, l’unica solitaria associazione che ha richiesto la rimozione della scala di ferro che deturpa la Certosa di Padula.