Operine e concerti in streaming hanno salutato le feste natalizie, ora musicisti e pubblico attendono la nuova programmazione. Intanto, silenzio assoluto e ingombrante sui vari cartelloni di prosa
Di Olga Chieffi
“Questo è un nodo avviluppato!” direbbe Gioacchino Rossini che si affaccia dal cielo del nostro Teatro Verdi. Terminate “Le feste al Massimo”, che hanno riscontrato un buon concorso di critica e pubblico, anche se ci teniamo a sottolineare una certa superficialità nella trasmissione e regia streaming, tutto tace per il prosieguo di stagione. Lo scenario generale è abbastanza scuro, di riaperture di teatri e sale da concerto, come di musei e gallerie non se ne parla, e pur pessimisticamente, crediamo che fino alla primavera inoltrata, siamo condannati ad un soporifero e deprimente “Ritorno all’eguale” – come ha sottolineato più volte l’artista Marco Vecchio. Musicisti e pubblico sono in attesa di una nuova programmazione del teatro Verdi di Salerno, magari anche in streaming, per questo non breve lasso di tempo che ci condurrà, si spera, ad una accorta liberazione. In un primo momento si era pensato di procedere fino a marzo prossimo, con il cartellone musicale, poi, tutto è stato “impacchettato” nella rassegna natalizia. Dal teatro di prosa, invece, alcun cenno di vita. Se “Casa del Contemporaneo”, che a Salerno anima il teatro Ghirelli, aveva iniziato, donando qualche spettacolo in diretta streaming, tutto si è concluso con i primi appuntamenti, mentre il massimo e la Sala Pasolini non hanno creato alcun evento per non perdere quel particolare legame col proprio pubblico. Le regole stringenti del corona virus non hanno permesso l’uso del golfo mistico e di un’orchestra romantica, quindi largo al Settecento napoletano, da tempo invocato, che ha salutato l’ottimo debutto di Daniel Oren ne’ “La Serva Padrona” di GiovanBattista Pergolesi. “Il maestro di Cappella”, di Domenico Cimarosa, “La Furba e lo sciocco” di Domenico Sarro, e “La serva Padrona” di Pergolesi, i tre titoli che ci hanno condotto in un felice excursus nel mondo della nostra cultura musicale che, attenzione, ha sempre attinto ad una concezione trascendente, secondo cui il suono sarebbe dotato di qualità taumaturgiche, tali da lenire molti mali di natura psichica e spirituale, quindi adattissima al ferale momento Il regista Riccardo Canessa si è cimentato con il secondo e il terzo titolo, in cui si è rivelato anche consapevole attore, nei panni di Vespone, creando piani differenti di lettura che, in modi e misure diverse, hanno colpito l’anima di un pubblico, come non mai, eterogeneo e “allargato”. Il regista, unitamente al direttore Daniel Oren, ha conferito all’opera la qualità di uno strumento anche evocativo, in una direzione, se vogliamo “spirituale” e “spiritoso”, a voler citare lo stesso jesino del concerto in Sol maggiore per flauto e orchestra. Il Pergolesi, visto da Daniel Oren ha suscitato effetti profondamente emotivi, sottolineando quella concezione decisamente più sentimentale, in questa architettura sonora. Raffinati i due cantanti con Enkeleda Kamami, cadetta dell’Accademia del Teatro alla Scala, nel ruolo di Serpina, progenitrice di tutte le stagiste e segretarie-amanti, che non esita a definirsi “bella, graziosa, spiritosa”, creatura risoluta, decisa, sicura, quanto Uberto, l’esperto Carlo Lepore, che si pone da subito come il campione dell’indecisione. I due rappresentano due poli, puntualmente definiti nella loro individualità musicale, di una partitura che corre leggera, puntuale, aderentissima al testo, ai suoi giochi di parole, alla sua mutevolezza di caratteri e situazioni. Una trama esile, dunque, a cui fa da contraltare un libretto mirabilissimo (i raffinati giochi verbali di Federico, il librettista, sembrano davvero il miglior corrispettivo poetico della sensiblerie pergolesiana) e una partitura che inanella pagine di straordinaria forza espressiva all’insegna di un dinamismo teso, pregnante, reso puntualissimo da tutti gli attori. Tra i due intermezzi, la chicca strumentale “O Bemmenute, Signuri Mieie”, da “Il Flaminio” di Giovan Battista Pergolesi, con Riccardo Canessa che ha evocato la famosa mise en scène firmata da Roberto De Simone, dell’opera al teatro San Carlo nel 1985, riproducendo il carillon dei musici rustici, simbolo dell’eredità ricevuta di un teatro che è recitazione, canto, effetti scenici, che contiene tutte le lingue, che è generoso, vitale, scolpito dallo stupore e dalla potenza del sogno. Un teatro luminoso, semplice e complesso, permeato di magia e di energia, forgiato, nell’idea di una convivenza sensuale tra alto e basso, eternità e attimo, sopra e sotto, documento e invenzione, come la trama di una partitura