Secondo appuntamento questa sera, al Teatro Nuovo, alle ore 18,30 con la rassegna di Atelier che ospita la compagnia Nest
Di Davide Naimoli
Il secondo appuntamento della VI edizione di Atelier ospite del Teatro Nuovo di Salerno, è stato affidato al Nest Napoli Est Teatro, che presenterà oggi alle ore 18,30, “Love Bombing”, scritto e diretto da Giuseppe Miale di Mauro. Con Love bombing (dal nome dell’addestramento a cui sono sottoposti i reclutati convertiti e in cui è insito il paradosso della follia perpetrata che unisce il termine “amore” con quello di “bombardamento”) Miale di Mauro intraprende un percorso apparentemente inconscio – come dichiara l’autore – di investigazione della morte e della violenza sotto diversi punti di vista e nell’ambito di diversi contesti, partendo da una problematica tragicamente attuale, ovvero l’azione militare dei Mujahideen per l’imposizione violenta dello Stato islamico ai danni di chiunque non sia musulmano, e nel fare ciò conferma le sue abilità nel coniugare tematiche sociali e sentimenti, spunti di riflessione e momenti di forte impatto emotivo, utilizzando la musica come ulteriore voce narrante che enfatizza il testo e la messinscena, ma anche nell’individuare soluzioni registiche di grande effetto scenico come il ricorso a parentesi narrative in slow motion che evidenziano alcuni eventi salienti del plot e nel loro insieme realizzano un bombardamento emotivo da cui diventa difficile, se non impossibile, sottrarsi. Pretesto per indagare – afferma il regista – la «degenerazione umana, il percorso inverso all’evoluzione di Darwin che l’umanità sta compiendo», lo spettacolo si dipana all’interno di una scenografia (a cura di Carmine Guarino) angusta e ribassata che si sviluppa in profondità, permettendo lo svolgersi delle azioni su un binario temporale parallelo, e che costringe gli attori ad essere curvi, proprio come gli ominidi alla base della scala evolutiva, e ruota intorno a cinque uomini diversi tra loro per provenienza sociale e trascorsi, costretti a interfacciarsi ritrovandosi in una situazione estrema: sono chiusi in bunker perché il mondo occidentale è sopraffatto dal califfato, fuori c’è solo distruzione e sangue, e nulla lascia sperare che ci sia un domani alla drammatica situazione che stanno vivendo. La loro condizione di privilegiati rifugiati in equilibrio precario, d’improvviso, però, viene sconvolta dalla cattura di un militare islamico e dalla necessità di capire cosa fare di lui, se punirlo torturandolo in nome di quella voglia di vendetta che li affama a seguito di tutte le morti e violenze subite o se lasciarlo vivere. A dettare ogni gesto e battuta, influenzandone l’interazione con gli altri abitanti del bunker, c’è il differente passato di ogni sopravvissuto a cui ciascun interprete, con efficacia, conferisce quello spessore umano e quella verosimiglianza tale da renderlo vivo, reale, credibile, finanche nel momento degli applausi finali (a testimonianza di un ruolo da cui si fa fatica a liberarsi anche una volta giunti al termine per l’intensità richiesta nel ricoprirlo), così personificando i diversi volti che la coscienza di ognuno di noi può assumere in occasione di momenti particolarmente carichi di tensione e tragicità. È, infatti, la possibilità e la libertà di scegliere – concetto fondamentale per l’umanità che da sempre è posta nelle condizioni di dover compiere delle scelte, ed assumersi di conseguenza delle responsabilità di fronte al bene e al male – a far scaturire in ogni protagonista sentimenti e reazioni diverse: smarrimento, panico, angoscia trapeleranno negli atteggiamenti confusi ed agitati del più giovane del gruppo (’o guaglione) o del pediatra, mentre un consapevole senso di accettazione sarà quello che distinguerà l’avvocato, il più anziano, il cui mostrarsi compassionevole e umano nei confronti dell’ostaggio lo renderà simile al patriarca ebraico Giobbe che nella Bibbia, così come fanno i cinque uomini, si interroga su come poter reagire quando le circostanze appaiono avverse ed ingiuste, scegliendo infine la via dell’accettazione che lo porta a trasformare la sofferenza in saggezza e forza; allo stesso modo, del resto, di quanto accadde durante la seconda guerra mondiale quando l’orrore dei campi di concentramento cancellò in molti ogni traccia di umanità ma al contempo lasciò in alcuni, seppure pochi, il bisogno di conservare la propria essenza e così restituire, assumendo un atteggiamento ispirato alla solidarietà, un senso alla vita anche nella sofferenza.