Università, comune, operatori culturali alla presentazione dell’evento internazionale dedicato a Pasolini, un’organizzazione stellare che non sa che il nome del genio del Novecento si scrive Pier Paolo
Di OLGA CHIEFFI
Grande attesa, ieri mattina, per l’intitolazione dell’ex-cinema Diana a Pier Paolo Pasolini. Le massime istituzioni della nostra città, l’amministrazione comunale capitanata dal sindaco Enzo Napoli e dall’assessore Ermanno Guerra, l’Università rappresentata dal suo rettore Aurelio Tommasetti, il suo portavoce, il docente di Sociologia degli audiovisivi sperimentali, Alfonso Amendola e la titolare della cattedra di estetica Pina De Luca, unitamente ai promotori del cartellone dedicato a Pasolini, Marco Russo, presidente della neo-nata associazione Tempi Moderni e il presidente della Fondazione Carisal Alfonso Cantarella, hanno attorniato il sindaco e il prestigioso ospite, il fotografo Dino Pedriali, i quali hanno fatto cadere il gonfalone scoprendo la targa Sala Pierpaolo Pasolini. Quel nome sbagliato è il segno dei tempi che viviamo, dei tempi che aveva previsto Pier Paolo su quel finire degli ’60 decennio dopo il quale sono state deposte le armi. Ascoltando la tavola rotonda, oltre, naturalmente, i saluti istituzionali, la giusta scelta di destinare questa sala multimediale al genio poliedrico di Pasolini, da parte del Sindaco Napoli e di Ermanno Guerra, si continua da cinquant’anni a parlare di cortocircuito, di mescolanza, di parola piena, di rottura, di decostruzione, di critica viva, ormai sono tre le generazioni di umanisti che si sono formate su questi assunti e non si intravvede una scintilla nuova. “Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo, basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali”. Così si esprimeva Pasolini, qualche ora prima della sua morte, nella sua ultima intervista, rilasciata a “Tuttolibri”. Parlare di Pasolini ora, attraverso i mezzi consentiti da questa provincia culturale, vuol dire, innegabilmente parodiarlo. Ma tra il rischio della parodia e l’agiografico silenzio a cui la carne viva del suo pensiero è stata ridotta, è preferibile accettare il rischio. Al di fuori e protagonista assoluto di questa kermesse pasoliniana, che comprende ben 14 eventi raccolti in una rassegna titolata “La parola innamorata”, nulla di internazionale, come sbandierato dagli organizzatori, ma unicamente personaggi del jet set culturale cittadino – da Diego De Silva che, domani sera leggerà Pier Paolo Pasolini, introdotto da Massimo Esposito, ad Alfonso Amendola con il seminario dedicato alle scuole “Il rumore della vita”, seguiti da tre eventi “Per un po’ d’innocenza” affidati a Davide Speranza ed Elio Goka e ancora il talk “Corpo a corpo – Lo sguardo erratico” di Peppe D’Antonio, con un preludio di Monica Trotta, seguito da “Pierpaolo Pasolini: il palcoscenico come culla di poesia” a cura di Andrea Carraro e Carola Barbato, le performances di Yari Gugliucci “L’Italia era un paese meraviglioso” con prologo di Marcello Napoli e “Lucciole all’inferno” di Antonio Grimaldi introdotto da Gemma Criscuoli, per continuare con un convegno sui luoghi di Pasolini, tenuto da Maria Gabriella Alfano, Marco Capua, Erminia Pellecchia e Marcello Francolini, lo spirito de’ “Il Vangelo secondo Matteo”, spiegato da Antonio Bottiglieri e Paolo Romano, il poeta friulano in “Vers Pordenon e il mont” a cura di Francesco Durante e Francesca Salemme , i luoghi, stavolta esclusivamente romani del poeta ritrovati descritti da Giovanni Vacca e Peppe Leone, sino alla Divina Mimesis con testo e fotografia di Epifanio Ajello, introdotto da Felice Naddeo, una serata fuori cartellone, forse organizzata al seguito delle polemiche di questi giorni, il 24 marzo, con quanti sino ad oggi hanno tenuto vivo il ricordo di Pasolini in città, Pasquale De Cristofaro e Michele Schiavino – l’occhio di Dino Pedriali. L’artista ha donato una delle immagini più famose di Pier Paolo Pasolini alla città di Salerno. E’ quella in cui il poeta poggia la bocca e il mento sul suo pugno sinistro e guarda verso di noi, cercandosi e cercandoci dentro l’obiettivo, mentre siamo noi, in realtà, a guardare l’immagine, una soglia trasparente attraverso cui le parti si scambiano, i mondi si versano l’uno nell’altro. Ama la sua opera Pedriali, lui stesso l’ha staccata dal cavalletto per portarla sulla scrivania e firmarla, raccomandando di non usare mai liquidi per pulire il vetro. Dietro quel quadro ora c’è un’altra opera d’arte, alberi dune, lui stesso, simboleggiato dalla sua impronta digitale color verde, che si collega alla firma dalla quale pendono tre note, in cui sono racchiusi i suoi maestri, il segno di Masaccio, quello di Michelangelo e le ombre di Caravaggio, in stile warholiano. “Sono stato giusto ventiquattro ore in America – ha raccontato il Maestro – Ho studiato Andy, è un genio, queste tecniche me le ha insegnate lui. Ho appreso quanto ho potuto, gli piacevo, avrebbe voluto catturarmi, ma a me non andava la sua manipolazione dell’immagine, che va mantenuta nuda, pura”. Questa sera, nelle sale di palazzo Fruscione, alle ore 20, in occasione del vernissage della sua mostra “Nostos: il ritorno” 1975-1999 dove incontreremo Pasolini nella sua quotidianità: mentre scrive, legge, passeggia, disegna, anche completamente nudo, tra Chia e Sabaudia, potremo tutti ringraziarlo. Il reale è l'impossibile nelle immagini di Pedriali, il quale possiede il dono di farci vedere ciò che non pensavamo di vedere e forse, neanche lui immaginava. Ad memoriam.