di Olga Chieffi
Questa sera, alle ore 20, nell’arena lirica del Ghirelli, ultima opera en plein air in cartellone prima dell’agognato ritorno in teatro, con l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, un melodramma giocoso, che sarà ambientata coraggiosamente nel settembre del 1943 a Salerno dal regista areniano Stefano Trespidi. Vicenda, libretto e musica formano un miracolo di perfezione che fa di questo lavoro uno dei massimi risultati del teatro in musica e difficilmente un allestimento di quest’opera delude o risulta sconclusionato: basta non tradire l’ingenuità maliziosa della storia e si è sulla buona strada. L’opera datata 1832, conta due soli personaggi buffi, Belcore e Dulcamara: il primo caricatura del militare galante è stata affidata alla voce di Biagio Pizzuti, e il secondo, il dottore ciarlatano, sarà interpretato da Misha Kiria. Quanto agli altri personaggi, i veri protagonisti, Nemorino e Adina, lui, il tenore Valentyn Dytiuk, appartiene alla categoria dei ragazzi timidi e sentimentali, sospirosi e facili alle cotte, mentre lei, il soprano Irina Lungu, pur facendo la civetta e dandosi delle arie, è in fondo una donna semplice e innamorata, suscita il sorriso per il suo carattere squisitamente femminile, per la simpatica malizia. Intorno, comunque, dovrebbe spirare una rustica aria di paese, che l’orchestrazione rende ancor più agreste. Gli abitanti danno l’idea di vivere fuori dal mondo, ma in realtà ne sanno una più di Dulcamara, con il loro sornione, concreto agnosticismo, che in sostanza profitta ora di questo, ora di quell’altro che capita in giro. Il pudico ingenuo Nemorino riuscirà a far breccia nel cuore della “fittaiuola” con la tenerezza della sua commovente devozione, e non per merito del filtro al Bordeaux. Siccome in quel mondo tutto da sempre, va per il meglio, anche i ciarlatani giungono a proposito. L’opera ebbe un’accoglienza tanto favorevole da sorprendere lo stesso Donizetti che l’aveva composta in soli quattordici giorni. La romanza da utilizzare già era in serbo ed era il pezzo forte dell’opera “Una furtiva lagrima”, dolce, appassionata, voluttuosa, affettuosa come una serenata, si annuncia a scena vuota col fagotto, accompagnamento di archi pizzicati e arpa, lo strumento dell’innocenza come in Lucia. Sul piano musicale e teatrale rappresenta la più bella risposta che si poteva dare alle fanfaronate di Dulcamara, che non era venuto da quelle parti, a bordo del suo carro, per affrontare problemi di cuore così cocenti, ma soltanto per aumentare, dello stretto indispensabile, il pizzicore dei sessi addormentati. La sua tiritera di marca rossiniana “Udite, udite, o rustici”, lascia largo spazio alla declamazione del basso comico, a spassi onomatopeici e allitteranti, che il personaggio abbandona soltanto quando prende parte, nei punti significativi, ai disegni melodici e ritmici dell’orchestra: la chiusa, “Così chiaro è come il sole”, riassume in forma ternaria di danza allegra, contadina, il concetto dell’umorismo ciurmatore. Certo, il furbacchione è tanto ben trovato che contagia l’intero dinamismo dello spartito, trascinando bisticci, agitazioni, languori e villanesche di chiara e godibile umanità, le guance arrossate dal buon vino (vi scorra o no l’attesa lagrimuccia). Sotto il profilo tecnico, il compositore scrive senza dare l’impressione del calcolo, senza incertezze e problemi; rivelando un eccelso mestiere e una fiducia illimitata nella sicurezza dell’esposizione. Al tempo stesso la profondità e la convinzione della melodia, così come la sottile abilità di orchestrare in modo moderno, per quei tempi, pongono lo spettatore in condizione di afferrare senza sforzo la natura dei personaggi e l’intreccio della vicenda. A completare l’eccellente cast ci sarà Miriam Artiaco, che vestirà i panni di Giannetta. Sul podio l’esperta bacchetta di Daniel Oren, sarà ancora una volta alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi” e del coro, preparato da Armando Tasso. Si replica fino al 28 settembre.