“Donna de Paradiso lo tuo figliolo è priso!… O figlio… amoroso giglio!… occhi iocundi… co’ non respundi?”
Un testo latino affine alle coeve laudi drammatiche, canzoni sacre in Volgare. Riflessioni dopo l’ascolto dello Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi
di Alfonso Mauro
Ci è dato scoprire uso piuttosto comune presso gli atei, ed è tale il caso di chi scrive, avere aperta, socchiusa, o spalancata la ianua del gusto musicale e degli assidui ascolti anche alla musica sacra, attingendo essa sovente dalla Storia letteraria, e allo Zeitgeist con-sacrando doni di tutto rispetto e considerevole peso specifico culturale — tal da non poter essere ignorati, per apostati che si sia. E così con lo Stabat Mater di Pergolesi. La meditabonda ridda delle idee ronzanti all’ascolto salernitano del pezzo settecentesco è densa e si infosca, ma la scenografia funebre loro s’addice. Uno dei momenti culturalmente significativi di trapasso tra gli atteggiamenti e le forme poetiche classiche e (pre)moderne fu senz’altro la (re)invenzione della rima in cader di versi in metrica accentuativa (sillabe toniche e atone) e non più quantitativa (lunghe e brevi); atmosfera privilegiata di questa rimodulazione ritmico-fonetica, e musicale, essendo le chiese altomedievali. Dobbiamo cioè l’origine di numerose forme poetiche moderne al testo liturgico escogitato ex novo in aggiunta, in successione (sequentia) all’Alleluia, e interpolante prima prosule e successivamente componimenti poetici rimati e ritmati prevalentemente trocaicamente (–u–u–u–u), atti entrambi al canto. Ereditiamo alcune di queste liriche da epoca alta e da autore talvolta dibattuto: Vexilla regis, Veni Creator Spiritus, Planctus cygni, Dies irae, Ave Maris Stella; più tardo, ma condividente i lauri della scena poetico-musicale col Dies e il Veni (ricordiamone almeno l’istanziazione mahleriana nell’ottava sinfonia), è lo Stabat Mater, attribuito all’uomo di Studi e Legge fattosi francescano Jacopone da Todi (1230 – 1306). Si tratta di un testo latino relativamente affine alle coeve, e poi care alla Mistica Trecentesca, Laudi drammatiche — canzoni sacre in Volgare in cui le figure bibliche s’appressano a calcare più umano proscenio e diventano dramatis personae vulgoloquenti e tessute su d’una scrittura nervosa che, tentati, definiremmo elegiaco-teatrale: “Donna de Paradiso / lo tuo figliolo è priso / Accurre, donna e vide / che la gente l’allide; / credo che lo s’occide, / tanto l’han flagellato.” Men celebre precedente ma parimenti tenuto in liturgico frigorifero onde impiattarlo d’occasione è il brano dal Laudario cortonese (XIII sec.): “De la crudel morte de Cristo / ogn’omo pianga amaramente”. Il pentitosi Jacopone (di tristo dominio pubblico scolastico-aneddotico è la vicenda della moglie morta scoperta indossare un cilicio a presumibile espiazione della vita maritale) è ovviamente al timone di ben altra vis poetica nel brano latino, e le acque-acquasantiera solcate sono quelle del rito più che del pantomimico, dell’incenso più che dell’inchiostro — e della musica, avendo lo Stabat rivendicato prontissimo quantunque non continuativo loco presso la summenzionata sequentiacantata. È opinione degli storici non si trattasse originariamente che d’una ricca e tortuosa modulazione fiorente sull’ultima sillaba dell’Alleluia (melisma), incavatasi poi a cuna d’invenzioni letterarie quasi tutte fortunate; in odor d’eliconea santità tanto da radicarsi poliedrico portainnesto anche per rami assolutamente secolari, quando non deliziosamente sacrileghi, cui maggiore infiorescenza, appunto, sarebbero stati i goliardici Carmina Burana — non a caso trapunti sul medesimo ritmo trocaico (“O fortuna velut luna / statu variabilis”). Numerosi gli auctores musicanti lo Stabat: ci piaccia rammentare, oltre a Pergolesi, Palestrina, gli Scarlatti, Haydn, Boccherini, Paisiello, Rossini, Schubert, Liszt, Dvorak, Verdi, Poulenc… Quanto, invece, al Requiem (altra password pasquale): la prima menzione, nelle mai facilmente sondabili fonti dei primi decenni cristiani, della pratica funeraria a companatico eucaristico ci viene da testi di II secolo: Atti di Giovanni (apocrifo neotestamentario) e Martirio di Policarpo; e le prime musicazioni del testo-Frankenstein a noi giunte datano al X secolo. Centinaia le successive. Vidit suum dulcem Natum / moriéndo desolátum, / dum emísit spíritum.