di Olga Chieffi
Stasera alle ore 20, il Ravello Festival apre il suo omaggio ad Enrico Caruso, con il primo dei due eventi ideati dal direttore artistico Alessio Vlad, che vedrà sul Belvedere di Villa Rufolo uno dei più grandi tenori oggi in attività, Juan Diego Flórez. La prima serata dell’omaggio ad Enrico Caruso, nell’anno celebrativo del centenario della morte, sarà dedicata al giovane Enrico, ancora parzialmente in possesso delle stigmate del tenore “di grazia”. Una classificazione dovuta alla morbidezza, alla fluidità del legato, all’uso di mezze-voci e smorzature, all’acuto chiaro, che, poi, diverrà pieno, sensuale e struggente, proprio in quella “Furtiva lagrima”, non favorevolmente accolta dalla frangia dei critici al teatro di San Carlo, che aprì la strada al canto moderno, sancendo il tramonto del suo concorrente Fernando De Lucia, il mago delle note filate, le celeberrime “lacreme” e del vibrato stretto. La sintesi di questi due tenori è oggi, Juan Diego Florez, una delle voci più apprezzate del panorama operistico attuale, con un repertorio improntato al belcantismo italiano. Juan Diego farà coppia con il soprano Marina Monzò, voce giovane e intrigante, sostenuto dall’Orchestra del Teatro San Carlo, diretta da Nikolas Maximilian Nägele, Kapellmeister della Deutsche Oper di Berlino. Il programma verrà inaugurato da un omaggio a Gaetano Donizetti, con la Sinfonia del Don Pasquale e i suoi temi che catturano delle “situazioni” dell’opera, creandone di nuove con metafisica spensieratezza. Il bel tenore esordirà proprio sulle note di “Una furtiva lagrima”, il pezzo forte dell’Elisir d’amore, appassionato, voluttuoso, affettuoso come una serenata, con un motivo che si snoda puro, logico, sviluppato in un arco che non sembra aver fine. Quindi, Florez darà voce a Lord Edgardo Ashton, con “Tombe degli Avi miei… Fra poco a me ricovero”, dall’ultimo atto della Lucia di Lammermoor, divenendo il prototipo dell’eroe romantico, fiero e passionale, ma condotto da Lucia, tra gli spazi delle melodie eteree e sublimate. Momento tutto strumentale con l’Intermezzo dalla Carmen di Bizet, in cui saranno l’arpa e il flauto a dominare l’orchestra, creando uno spazio sonoro di una ampiezza inusitata, dalle intangibili lontananze, prima del ritorno in scena di Florez, con la cavatina di Romeo (“Ah lève-toi soleil”), elegante, persuasivo esempio delle attitudini elegiache di Charles Gounod, principio del II atto del suo Romeo e Juliette. La Monzò sarà Juliette: suoi gli acuti e la fresca agilità richiesta per l’esecuzione della celebre ariette dell’atto I, “Je veux vivre dans le rêve”, prima di ascoltare le due voci in “Va! je t’ai pardonné!..Nuit d’hyménée”, in cui Gounod offre il meglio di sé, nell’intonazione febbrile del sentimento amoroso. Enrico Caruso ha rappresentato anche l’emigrante, divenendo il massimo cantore del suo idioma musicale, che verrà evocato dall’interpretazione di tre melodie quali “Core ‘ngrato”,”’O sole mio” e “Torna a Surriento”. Ancora un intermezzo, stavolta quello di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni che, che ben si espandendosi, rinforzando ondeggiando, come il vento e gli stessi sentimenti umani, fluttuando per i loro ciechi labirinti, c’introdurrà al finale verista, tutto pucciniano nella soffitta di Bohème, dove il caminetto brucia di fame, gioventù e amore e Rodolfo in “Che gelida manina” e “O soave fanciulla”, incontra Mimì, la ragazza ideale, la quale non è che l’esito trasfigurato di un mondo saldamente ancorato alla vita di tutti i giorni.