Questa sera, alle ore 20, a palazzo Fruscione ospite di Tempi Moderni sarà il musicologo Veniero Rizzardi che sarà in dialogo con Olga Chieffi sulla rivoluzione del genio statunitense
Non potevano essere che Silvia Lelli e Roberto Masotti a fotografare John Cage nelle sue incursioni italiane e poi a seguirlo nel suo loft newyorkese. Le immagini che tutti hanno negli occhi del genio statunitense sono quella seduto a un tavolino a Milano. Oppure affacciato dalla finestra di un treno. Ma lo si vede colto mentre, sorridendo, stringe le mani della signora che gli ha preparato una piadina. Le fotografie di John Cage scattate da Roberto Masotti, da solo o con Silvia Lelli raccontano una storia di occasioni, di incontri dettati dal caso, in un contesto di grandissima amicizia. Sono firmate da loro le immagini di un artista imprevedibile, creativo, divertito dalla vita e dal suo stesso inventare. La VII edizione dei racconti del contemporaneo non poteva non omaggiare John Cage, una visione la sua così empatica con le ragioni estetiche di Lelli e Masotti e della mostra Sguardi ospite di Palazzo Fruscione e del Teatro Verdi. Stasera, alle ore 20, partendo al solito da un’incisione che il pubblico ascolterà in “silenzio”, il musicologo Veniero Rizzardi dell’Università “Cà Foscari di Venezia insieme ad Olga Chieffi ci accompagneranno nello sconfinato universo cageano, partendo dal disco Nova Musicha 1, che inaugura il ciclo di composizioni incise per l’etichetta Cramps. Un disco che porta in esergo la frase “…le idee si trovano nello stesso modo in cui trovi i funghi selvatici nella foresta, semplicemente guardando”, ed ecco pezzi quali Music for Marcel Duchamp del 1947, Music for Amplified Toy Pianos del 1960, Radio Music del 1956, 4’33” (In Tre Parti: 30”/2’23”/1’40”) (1952) e Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham (frammenti) (1971). Traversando questi brani avremo in sintesi minimale l’indispensable Cage. Volendo tentare di riassumere in una proposizione sola il senso ultimo del legato culturale di John Cage, trascurando gli sviluppi tutt’altro che semplici e lineari delle sue posizioni, nel tempo, e cercando di forzarne unitariamente il discorso, credo che si potrebbe ricorrere con vantaggio a una dichiarazione che egli stese, in margine al suo “A Year from Monday”, nel ’63: “Vorrei che le nostre attività fossero più sociali, e sociali in modo anarchico”. La più celebre tra queste composizioni resta 4’ 33’’, in cui il suo amico e collega David Tudor, dopo aver messo in atto tutti i “riti” che precedono un’esecuzione al pianoforte (l’inchino, la sistemazione del seggiolino e del leggio e così via), si è posizionato davanti allo strumento per poi non emettere alcun suono per quattro minuti e trentatré secondi, «limitandosi solo ad aprire e chiudere la tastiera per segnare i tre movimenti della composizione» era infatti composto di tre “movimenti di silenzio”: il primo di 30”, il secondo di 2’ 23” e il terzo di 1’ 40”. In tal modo l’attenzione del pubblico si è rivolta alle sonorità e ai rumori dell’ambiente circostante, come gli scricchiolii delle sedie, i colpi di tosse delle persone, il vento e il ticchettio della pioggia sul tetto dell’edificio. Con questa opera Cage ha rivelato la sua personalità di filosofo della musica, perché non solo ha inteso demistificare la ritualità del concerto, ma soprattutto ha voluto dimostrare che il silenzio assoluto non esiste e che “tutti i suoni sono musica”. 4’ 33” rompe così i limiti posti tra i suoni tradizionalmente considerati musicali (come quelli prodotti dagli appositi strumenti) e qualsiasi rumore extramusicale (suoni della natura, del pubblico, artificiali, ecc.): ogni suono merita di divenire musica, se ascoltato. Infatti, dal punto di vista pragmatico, il brano cambia radicalmente le abitudini di ascolto del pubblico, mettendo in primo piano l’azione dell’ascoltare stesso: l’attenzione passa dal musicista all’ambiente sonoro reale. L’autore, dopo aver creato il contenitore ‘vuoto’, rinuncia a ogni gesto compositivo volontario e lascia che sia il caso a riempire di rumori il silenzio. Quest’ultimo infatti “non esiste”: ci sarà sempre almeno un suono, seppur minuto, ad attirare l’attenzione. L’idea per 4’ 33” era stata instillata a Cage dai White Paintings (Pitture bianche) del pittore Robert Rauschenberg, che in quello stesso 1952 aveva iniziato a collaborare con lui e Cunningham. I White Paintings erano tele di solo colore bianco che prendevano vita dalla polvere depositata sulla superficie e dai cambiamenti della luce e delle ombre dell’ambiente circostante (luce solare e ombre delle persone che vi passavano davanti). Quindi, «come la polvere, le luci e le ombre riempivano quelle tele bianche, allo stesso modo i suoni dell’ambiente hanno riempito il silenzio di 4’ 33”.L’influenza di Cage è stata ampia e profonda in ogni campo artistico, dove le sue esplorazioni sul suono e sul silenzio, le sue prestazioni multimediali e le sue metodologie aleatorie hanno avuto un impatto enorme. Dalla sinergia con Merce Cunningham, suo compagno di vita e lavoro per quasi cinquanta anni, è scaturita la rivoluzione del rapporto tra musica e danza, da loro considerate in modo indipendente una dall’altra. Entrambi erano proiettati in una prospettiva antidogmatica che ha consentito a Cage di intrecciare intrecciare diversi linguaggi e forme artistiche: la musica, la danza, la poesia, le arti visive. Ci convinceremo attraverso questa nuova musica, che ciò che veramente importa è conservare intatto, anzi, accrescere di continuo, nell’arte, il nucleo vivo e insopprimibile di quel messaggio civile, operando sopra la mente degli uomini attraverso i suoni e le immagini, le parole e i gesti, così da ricondurli, oltre ogni sospensione e rottura, empirica e provvisoria, alla volontà e alla capacità di modificare le proprie convinzioni e convenzioni, le idee e le percezioni, reinstaurando la fedeltà a quella visione del mondo che l’anarchia propone, e ristrutturando il consenso a quell’utopia, reinducendone la tangibile praticabilità.