di Mario Fresa*
«Povero Rigoletto!», esclama, beffardo, il cortigiano Marullo all’inizio della terza scena del secondo atto del capolavoro verdiano. Ebbene: chi ha assistito, lo scorso 25 luglio, al Rigoletto messo in scena nell’ambito dell’IrnoFestival organizzato da Tiziano Citro non può che ripetere, scorato, la medesima espressione di Marullo, forse con minore ironia e con più grave disappunto. Difficile dare conto di ciò che si è visto e di ciò che si è udito. Una struttura ridicola e informe ospitava il palcoscenico, sulla cui piattaforma appariva una scenografia dozzinale, che mostrava porte e pareti di cartapesta barcollante; la povera orchestra posizionata in terra, sulla sabbia (anche se il forbito e pletorico presentatore della serata parlava di “golfo mistico”: dove l’avrà mai visto?); cantanti privi di qualsiasi impostazione, tanto che le loro voci non si udivano per niente, perché del tutto sopraffatte dall’orchestra (nemmeno tanto numerosa, tra l’altro; e non si poteva davvero trattenere il riso, allorquando l’interprete di Monterone, Franco Prosperi, ha tentato di cantare: «La voce mia qual tuono vi scuoterà dovunque!»); una direzione d’orchestra scoordinata, confusa, incapace non dico di interpretare, ma addirittura di fornire agli strumentisti le minime coordinate di intonazione e di tempo; una regia teatrale, firmata da Massimo Patroni Griffi, velleitaria, raffazzonata, dilettantesca. Inutile, poi, parlare dell’edizione critica approntata ormai da trent’anni da Martin Chusid: non è stata, naturalmente, presa in considerazione, perché abbiamo assistito, qui, al solito Rigoletto infestato dalle abituali, volgari puntature acute mai scritte da Verdi; un affronto, soprattutto se si pensa che il 2013 è l’anno del bicentenario della nascita del Maestro.
Pochi gli spettatori, e alquanto sonnecchianti. Abbiamo visto il settanta per cento dei posti disponibili letteralmente vuoto. Gli sparuti ascoltatori erano spaesati e ciarlieri, col cellulare allegramente acceso anche durante l’esecuzione; non sapevano nemmeno quando e dove applaudire; ogni tanto, qualcuno di loro citava a casaccio, tanto per far sapere di essere un fine intenditore, i nomi di Renato Brùson (proprio così!) e della Callàs (anche questo, citato proprio così). Ma lasciamo da parte il pubblico e veniamo a esaminare l’esecuzione. L’Orchestra della Repubblica di Udmurtia sembrava impegnata in una specie di lettura a prima vista: suono precario, dinamica nevrotica fondata tutta su di un insistente mezzo-forte, fraseggio inesistente, noia a pacchi.
Al confronto, l’Orchestra Filarmonica del Verdi di Salerno ci è sembrata l’Orchestra Filarmonica di Berlino. Ed è tutto dire. Il direttore, Marco Gatti, ha cercato di trasmettere un’idea vaga di ritmo e una altrettanto vaghissima idea di intonazione; si è impegnato con tutte le forze per raggiungere un livello quasi disastroso. Anche qui, volendo fare un possibile confronto, il nostro buon Daniel Oren ci è sembrato quasi un Klemperer, un Bruno Walter, un Sinopoli.
Veniamo, ora, ai cantanti: Mauro Augustini, nel ruolo del titolo, ha cercato di utilizzare al meglio i resti della sua voce; ha cantato maluccio e ha interpretato con una certa volgarità, movendosi in scena come una specie di Compar Alfio desideroso di un duello rusticano; insomma, parafrasando un verso di Piave della Traviata: meglio fora se avesse taciuto. Francesco Ciotola è stato un mediocrissimo Duca di Mantova, di voce piccina e di scarsa personalità; Fernanda Costa, Gilda, è un discreto soprano: ma non è certo all’altezza della parte. Gutturale, ingolato e privo del necessario registro grave il basso Sorin Draniceanu. Pessimi i comprimari, che sembravano parlare, più che cantare.
Ricordiamo che il giorno 30 è andata in scena, aggiungiamo purtroppo, anche La Traviata: principali responsabili della serata sono stati l’imponente e ben poco tisica Maria Dragoni e la sua defunta voce, e il direttore Massimo Gualtieri, che si è dimostrato degno collega del Gatti. Anche in tal caso, abbiamo addirittura rimpianto Oren e la sua simpatica orchestra.
Vorremmo sottolineare, però, prima di chiudere, qualche altra perla di questo sciaguratissimo festival: nell’elenco dei personaggi del Rigoletto, così com’è riportato nel libretto di accompagnamento destinato ai poveri spettatori, si indicano anche alcuni
“Parenti, amici, amiche e camerieri”. Ohibò: e chi sono costoro? Piave scrive che il coro è composto da “Cavalieri, dame, Paggi, Alabardieri”. Non si parla di camerieri né di parenti. Nella stessa brochure, inoltre, si cita anche una banda in palcoscenico, che sarebbe stata diretta da Veaceslav Quadrini. Forse questa banda era assai ben mimetizzata: noi, infatti, non l’abbiamo proprio vista, benché ci trovassimo in seconda fila. Se, poi, ci si collega al sito dell’IrnoFestival, leggiamo la seguente frase tragicomica: «Un cast di protagonisti eccezionali daranno vita ai famigerati personaggi di Gilda, Rigoletto, Violetta, Alfredo, Azucena e Conte di Luna».
Ora, a parte la mancata correlazione tra il soggetto e il verbo – un cast daranno vita !?– si citano i poveri personaggi verdiani come “famigerati”; alla lettera, però, come sanno anche i bambini, “famigerato” vuol dire di pessima reputazione. Ma che male hanno potuto commettere i vari Alfredo, Violetta e Rigoletto per essere definiti “famigerati”?
Non sarebbe male, qualche volta, riaprire il vecchio, amato vocabolario, soprattutto se si ha l’ambizione – o, meglio, la presunzione – di organizzare un “Festival internazionale”.
Ciliegina finale sulla torta: sulle locandine appaiono anche i nomi di Enrico Stinchelli e di Mariano Rigillo, che figurano come registi teatrali, rispettivamente, di Traviata e di Trovatore. Si tratterà, evidentemente, di un curioso caso di omonimia.
Già: perché Stinchelli e Rigillo non hanno mai autorizzato gli organizzatori dell’IrnoFestival a utilizzare i loro nomi in cartellone, in quanto non hanno mai svolto nemmeno uno straccio di prova con i cantanti, né firmato alcun contratto. Sono stati, però, indicati come registi degli spettacoli: a loro insaputa. Non c’è altro da aggiungere. Tuttavia, ci chiediamo, sbalorditi: com’è possibile che la Regione, l’Ente Provinciale del Turismo di Salerno e l’Azienda Soggiorno e Turismo di Salerno abbiano potuto sostenere e finanziare robaccia simile? Povero Rigoletto, povera musica, poveri noi.
*Critico letterario e musicale