di Daniele Corsini
Questo racconto è un mistery cupo, scritto in un linguaggio legnoso, che si sviluppa attraverso passaggi difficili, se non addirittura cerebrali. Anche le numerose citazioni di versi delle canzoni e dei film che hanno accompagnato le generazioni degli anni Settanta e Ottanta, seppure suggestive, non sono di immediata comprensione, ove riferite al testo. Bisogna rifletterci, richiedono impegno, lasciando il lettore nel dubbio del significato metaforico. Scrivo così non tanto per scoraggiare la lettura di “Io sono tornata” di Gerardo Coppola (Robin Edizioni, Torino € 14 da oggi in tutte le librerie), quanto per incuriosire il lettore. Desidero solo avvertirlo che i temi affrontati non incoraggiano la leggerezza. La tensione che a poco a poco si genera riguarda la difficoltà di intravedere la fine della storia, prima dell’ultima pagina, dove si compie un rito di dissacrazione politico-istituzionale. Una ribellione contro il potere di un piccolo imprenditore che deve soggiacere alle conseguenze della crisi della propria banca, chiamando in causa i controllori. “Io sono tornata” è infatti riferita alla crisi bancaria, minaccia mai scongiurata nello scenario economico-sociale, della quale si auspica un trattamento più efficace, cioè più rispettoso del risparmiatore rispetto a quello assicurato fino ad oggi dalle autorità preposte. Il racconto è una lettura sfidante non solo in punta di linguaggio e di mistery. Lo è perché affronta un tema sul quale finora nessuno si era avventurato, quello di scrutare dentro alcuni impenetrabili sancta sanctorum, dentro le loro liturgie e le loro pretese infallibilità. Non è né un mondo sotterraneo, né un mondo di mezzo che vi si racconta, ma il mondo dell’empireo, dei cieli altissimi di cui nulla si può dire. Il mondo della ineffabilità. Dove i destini della nazione, sempre sull’orlo del baratro finanziario, si intrecciano con le capacità salvifiche di questo cielo terso, per consacrarne la provvidenza, l’ultima thule, l’aprez moi le deluge. I suoi uomini sono chiamati a risolvere situazioni impossibili, a sublimare lo spirito di servizio a vantaggio della collettività. Sempre pronti all’occorrenza. Eppure anche essi, dico questi ambienti, sbagliano, come tutte le costruzioni umane. Debbono accettare i propri errori e dare spiegazioni sulle conseguenze dei loro atti, anche per capire se si possano evitare altre infauste ricorrenze. Nessuno osa invece addebitargli responsabilità, se non fugacemente, perché siano subito dimenticate o escluse. Devono essere puri, incontaminati, per risollevare le sorti del paese, istituzionalmente irresponsabili. Altrimenti non potrebbero essere i salvatori della patria. Ma il tema, a ben vedere, non è neanche questo. Si può sistematicamente ricorrere a queste soluzioni, senza infrangere le regole del voto e della democrazia? Si può creare un contesto, dove si alimentano certe ambizioni nei personaggi che vedono nella carriera politica lo sbocco naturale della loro carriera di alto burocrate, solo perché il prestigioso cursus honorum è toccato ai suoi predecessori? E se il filo di queste vicende, tante volte ripetutesi, si spezzasse e questa cesura avvenisse in modo drammatico? Se la difesa di valori costituzionalmente importanti come il risparmio non è stata svolta al meglio, e se non si può escludere che situazioni, come le crisi delle banche, possano ripresentarsi, il comune cittadino continuerebbe a non ribellarsi e a subire? O viceversa chiamerebbe i nostri cavalieri bianchi a smacchiarsi di qualche macchia, cioè a rispondere dei propri errori di omissione di controllo? Io non so se ho formulato domande pertinenti rispetto al messaggio che il libro intende trasmettere. Ma dopo averlo letto non posso non dargli atto di coraggio e di aver posto, al tempo della ricerca di una costituzione più aderente ai bisogni del paese, un tema rilevante, per porre fine ai continui tamponamenti delle emergenze, di cui è prodiga la storia d’Italia degli ultimi decenni. Che forse è finito il tempo dei Cincinnati, che dal loro alto scranno, restano etereamente sospesi, in attesa di essere chiamati al salvataggio, in una sorta di perenne estote parati, state pronti, come dicevano gli antichi.