di Matteo Gallo
Nasce a Salerno il Polo della Carità. Una struttura destinata all’accoglienza, al sostegno e al conforto degli ultimi. Il progetto porta la firma della Caritas diocesana e risulta prossimo alla cantierizzazione. La sede sarà in via Bastioni, dove già l’organismo pastorale guidato da don Flavio Manzo insieme a un team di infaticabili collaboratori ha il quartier generale. Per la sua realizzazione sono stati previsti interventi di ampliamento degli attuali locali che porteranno la nuova realtà umanitaria a toccare quota quattrocento metri quadrati. Su due livelli. Un’opera importante, «di misericordia», strategicamente rilevante, immaginata e portata avanti per mettersi alle spalle quelle situazioni di criticità e precarietà dovute all’incalzare di improvvise e sempre nuove emergenze. Ma anche collegate a fenomeni cronici e prevedibili come le rigide temperature invernali. L’obiettivo è rendere ancora più stabilmente forte ed efficace l’impegno a favore dei più deboli, nello specifico dei senza fissa dimora. Quegli invisibili con chilometri di asfalto sotto i piedi e il cielo, troppo spesso solo quello, sopra la testa. Per l’incipit dei lavori mancano alcuni dettagli burocratici. «Ci stavamo lavorando da tempo e finalmente il progetto si sta per avviare. Per adesso ci siamo basati sulle nostre forze. Dovremmo essere operativi da settembre» spiega il direttore della Caritas. «È un passo in avanti decisivo per aiutare i fratelli e le sorelle in difficoltà lavorando, con attenzione, sulle emergenze in termini previsionali e di programmazione. Non solo come risposta contingente». Il Polo della Carità resterà sempre aperto. Al suo interno un dormitorio per trenta persone, accessibile agli uomini e alle donne. Un ampio giardino esterno e una sala confortevole destinata al relax. Il servizio “diurno” potenziato e la mensa assicurata dalla colazione, con pasti che non saranno cucinati in loco ma arriveranno dall’esterno. La struttura, a marchio Caritas diocesana, vedrà la luce in collaborazione con la Fondazione Caritas Salerno e la cooperativa sociale “E si prese cura di lui”, braccia operative della stessa Caritas. Con la sua apertura saranno messe in rete le parrocchie, le associazioni e i movimenti che già collaborano con l’organismo di via Bastioni e, più in generale, tutte quelle realtà che hanno intenzione di farlo. Dialogo costante con le istituzioni.
Don Flavio Manzo, al momento sono attivi tre dormitori Caritas: ‘Barbuti’, ‘San Francesco’ e ‘Saveriani’. Ne esiste un quarto, quello di ‘Medaglia Miracolosa’, operativo nelle situazioni di emergenza. Cosa cambia con il Polo della Carità?
«Il dormitorio dei Barbuti, ospitato in un edificio fatiscente, sarà inglobato nella nuova struttura. Quelli di ‘San Francesco’ e dei ‘Saveriani’ resteranno aperti. Il dormitorio di “Medaglia Miracolosa” ha una operatività strettamente collegata a fenomeni emergenziali. Con il Polo della Carità non dovremmo più avere di questi problemi».
Quanti sono i senza fissa dimora “censiti” nella città di Salerno?
«Una sessantina. Per lo più stranieri e molto giovani, tra i diciotto e i venticinque anni. Molte di loro si confondono tra la folla. Altri, invece, presentano segni evidenti della loro condizione di vita. Sono fratelli e sorelle che hanno bisogno di aiuto. Portano una croce che sembra schiacciarli e consegnarli a una vita che rischia di non avere più senso ad essere vissuta. Abbiamo il dovere di accoglierli e di sostenerli. In tanti bussano alla nostra porta. In tanti. Purtroppo non tutti».
Come mai?
«Esiste un numero molto ridotto che non accetta aiuti. Queste perosne si sentono libere così. Povere ma libere. Spesso ci dicono: “Ok, veniamo al dormitorio. E poi?”. Chiedono un supporto a lunga scadenza. Questo vuol dire accoglienza, sostegno economico e nello spirito. Ma non solo. Significa anche avviare un percorso di recupero per realizzare quel necessario riscatto che è leva di senso esistenziale. Occorrono percorsi specifici e professionalmente adeguati. Ed è qui che devono intervenire le istituzioni. A Salerno, fortunatmente, c’è grande collaborazione da questo punto di vista. Abbiamo un dialogo sempre aperto e proficuo con l’amministrazione comunale, in particolare con il settore delle politiche sociali. Fare rete resta la strada maestra».
Come si intercetta questo “sommerso”?
«E’ fondamentale il lavoro delle unità di strada, dei movimenti e delle associazioni di volontari laici e cattolici che sono in prima linea per portare a queste persone un pasto, delle coperte, conforto materiale e morale. Anche a Salerno sono una realtà straordinariamente preziosa e presente».
Volontariato: valore sociale inestimabile.
«I volontari sono un dono. Lo slancio del cuore è la molla iniziale, poi però è importante formarsi per operare applicando metodologie corrette. Stiamo lavorando alla definizione di percorsi teorici ed esperenziali per assicurare una adeguata formazione. A volte le persone pensano di dedicarsi al volontariato nei ritagli di tempo. Quando non hanno nulla da fare. Molte delle cose che farai per l’altro non ti verranno mai riconosciute ma, nonostante questo, è importante che tu le faccia. Il volontariato, aiutare gli ultimi, significa incontrare e amare Cristo, perché Cristo è negli ultimi. La formazione è un aspetto centrale. Ci dà una chiave unica di registro, al netto delle nostre singole specificità che naturalmente esistono, sono importanti e vanno esercitate. In questo modo evitiamo di essere tanti battitori liberi».
Quali le criticità per chi tende la mano?
«Il fratello in difficoltà è un fuorischema. C’è chi vive sotto i ponti. Chi chiede l’elemosina. Chi utilizza cartoni come coperte. Per queste persone vivere in questo modo è la normalità. Dobbiamo saper entrare con rispetto nel loro mondo e aiutarli ad attraversarlo per trovare l’uscita, dalla quale filtra la luce di una esistenza piena di senso. È un percorso difficile e impegnativo, perché aiutare l’altro significa accettarlo, a partire dalle sue debolezze».
C’è solidarietà tra chi vive ai margini?
«Esiste, tra gli stranieri, grande solidarietà nelle comunità di riferimento. Tra di loro si aiutano. E’ questo un primo importante argine. Ma non sempre esiste. E non sempre è sufficiente ad evitare il peggio».
Emergenza sanitaria, emergenza economica: è cambiata la platea invisibile?
«Senza dubbio si è allargata. Esistono gli invisibili che vedi plasticamente davanti ai tuoi occhi, come nel casdo dei clochard. Ma ci sono anche quelli che vivono con pudore, imbarazzo e vergogna una condizione di difficoltà esistenziale a cui non erano abituati. Penso ai genitori separati che non hanno la forza di mantenere i propri figli e sempre più spesso usufruiscono del servizio mensa. Penso agli anziani, quelli rimasti con una modica pensione, e alle persone affette da disabilità. Penso ai monoreddito. Penso a quanti non hanno i soldi per sottoporsi a fondamentali cure sanitarie e le liste di attesa nel settore pubblico sono troppo lunghe da sopportare. Penso alle povertà affettive, di comunicazione e relazione che tirano in ballo anche i più giovani. Penso a quei bambini che hanno bisogno di essere aiutati con il doposcuola e i cui genitori non hanno le risorse sufficienti a garantirlo. Sono tutte storie di invisibilità reale e quotidiana. Storie di chi resta indietro, nel silenzio».
Le parrocchie sono da sempre le vostre principali antenne ‘dentro’ la comunità.
«La parrocchie leggono il territorio. Sono i primi presidi di accoglienza e solidarietà. Come Caritas abbiamo un dialogo costante con i parroci e li supportiamo nelle iniziative e nelle opere a favore delle persone in difficoltà. La carità cristiana è inclusiva, ha il volto della misericordia e mette al centro la persona, nella sua dignità. Da questo punto di vista, mi preme sottolinearlo, ogni singolo cittadino può fare la differenza. L’occhio di chi guarda, quando si accorge che qualcosa non va nell’esistenza di qualcuno e provvede a segnalarlo, ha il potere di salvare vite umane.