di Peppe Rinaldi A chi volesse farsi un’idea di cosa sia accaduto nelle ultime ore nelle stanze della Camera di Commercio di Salerno, al netto delle giaculatorie sulle formazioni della nuova squadra del presidente, si consiglia il recupero di alcune edizioni di questo giornale a partire dall’agosto dello scorso anno. In particolare le date del 22-24-26-28 agosto, dell’1-5-16-25 settembre e dell’1 ottobre 2014: qui si troveranno pari pari, quasi in fotocopia, i contenuti degli atti giudiziari adottati dalla procura di Salerno in relazione allo scandalo scoppiato nella Cciaa e nel suo sistema di aziende speciali, a partire proprio dalla celebrata Intertrade. E, verosimilmente a questo punto, anche di quelli adottandi dall’organo inquirente, visto che la faccenda non sembra fatta solo di ordinarie malversazioni ma anche di qualcos’altro. Come la gigantesca evasione fiscale e tributaria operata sottotraccia in seno alla Camera nel rapporto con la propria creatura, cioè Intertrade. In che senso “evasione”? Questa cosa Cronache l’ha già scritta lo scorso anno, forse giova ripeterlo dal momento che ora che la Tributaria comincerà a scavare nelle carte potrebbe trasalire. E i milioni di euro che mancano all’appello, determinati dal buco in pancia fatto da Intertrade alla stessa Cciaa (che finché durava durava, anno dopo anno iniezioni di danaro a gogò, perfino a casino in corso gli ultimi 650mila euro prima dell’addio di Guido Arzano) pari già a circa sei milioni, potrebbero addirittura moltiplicarsi. Se io opero «come» una società commerciale devo fatturare secondo quel regime e non come se fossi un’associazione: cosa che invece Intertrade ha fatto per anni, emettendo fatture alla Cciaa per attività istituzionali e roba del genere. Determinando così una “sparizione” dell’Iva per chissà che importi. Sarebbe forse stato normale, da parte della Cciaa, non accettare quelle fatture, dichiararle irricevibili, come fanno in diverse altre Camere in Italia. La legge dice che gli enti non commerciali strutturati in maniera complessa (come Intertrade) devono avere un impianto contabile duplice, cioè essere inquadrati con due livelli di piano, conti istituzionali e commerciali, per evitare che si creino confusioni nella contabilità, non emergendo in maniera chiara voci imponibili derivanti dalla gestione commerciale dell’azienda speciale. (Ires, Irap, Iva). Eppure i bilanci Intertrade hanno superato il vaglio e il controllo di ben nove revisori del conto, gli stessi da anni. Nella migliore delle ipotesi, si tratterebbe di un’area grigia, contabilità border line, diciamo: il che non cambia i termini delle verifiche che, giocoforza, faranno gli uomini delle Fiamme Gialle. Per non dire della Corte dei Conti, che da qualche tempo alita sul collo dello storico ente di via Roma. Il problema vero, che si porrà, è questo: dinanzi al fatto che i bilanci Intertrade formano parte integrante di quelli della Camera di Commercio (che li ha assunti per anni, validandoli) anche un bambino capirebbe che l’infezione abbia contaminato pure quelli della ‘casa madre’, la Cciaa stessa. Che succede ora il crinale dell’inchiesta si sposta in questa direzione?
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