di Michelangelo Russo
Tempo fa, mio fratello Remo Russo, che fu negli anni ’70 un leader del gruppo di sinistra extraparlamentare Lotta Continua, mi raccontò che la lotta politica, per sopravvivere, ha bisogno di eventi eclatanti che, di tanto in tanto, la rivitalizzino. Se no, langue tendenzialmente per poi finire nell’oblio. Così, mi raccontava, quando nel Paese tragedie improvvise colpivano i militanti negli scontri con la Polizia o i fascisti, la sede salernitana di Lotta Continua a via Duomo improvvisamente si rianimava di presenze tumultuose e smaniose di cortei arrabbiati. E arrivavano nuovi aderenti e collette sostanziose per le iniziative che fiorivano. Insomma, la vista del nemico resuscita lo spirito bellico, da sempre, compattando le forze attorno al capo (Putin conosce bene questa regola). E adesso veniamo a Carlo Nordio. Abbiamo già detto che è stato un magistrato perbene, anche se la sua visione arcaica e sacrale della funzione del giudice era già passata di moda tra i Pretori romani giudicanti al tempo di Giulio Cesare. Già quelli avevano capito che il Diritto è una cosa viva, che segue l’evoluzione dei costumi e della società. Nordio si è fatto sentire, con le sue bordate di trinchetto, contro l’uso delle intercettazioni, strumento diabolico nelle mani dei Pubblici Ministeri per delegittimare le forze politiche nemiche (s’intende) della Sinistra.
Una simile affermazione ha svegliato dal suo sonno pigro l’Associazione Magistrati, e ha dato a tutti i giudici sensibili ai principi della Costituzione una scossa premonitrice di ben altri ostacoli prossimi a venire per l’indipendenza della Magistratura. Va detto che una lettura così rustica della presunta funzione delegittimante delle intercettazioni non c’era mai stata da parte di un Ministro della Giustizia. E che tale bollatura sia venuta in guisa di anatema, da parte di un ex Magistrato passato dalla toga al soglio ministeriale direttamente, ha sconcertato l’intero corpo giudiziario. Che starà sull’allerta nel prossimo futuro, ritrovando quel dialogo e quelle aggregazioni scomparse dalla vicenda Palamara (imperniata proprio sulle intercettazioni come mezzo di prova). Con l’inevitabile innalzamento del livello di scontro; terreno nel quale la vecchia Magistratura Democratica, per cultura e rodaggio decennale al confronto di profilo alto, eccelleva da sempre. Facendo da traino (in questo Nordio non sbaglia) all’intera Associazione Magistrati, protagonista a sua volta dei grandi dibattiti sulla tutela dei diritti fondamentali e sulle garanzie di tutte le minoranze e di tutti i generi della società umana. Nordio è un combattente che non si è mai tirato indietro, fino allo scontro solitario con l’Associazione Magistrati, come avvenne nel 2001. L’Associazione lo emarginò come personalità bizzarra, chiudendo ogni dialogo. Del resto, come Pubblico Ministero non era prodigo di concessioni all’interlocutore. Io lo conobbi solo per telefono nel 1992, precisamente nella tarda primavera. All’inizio di Tangentopoli i quotidiani nazionali avevano dato grande risalto alle sue perquisizioni presso gli studi tecnici di diversi ingegneri legati all’allora Ministro socialista De Michelis e alle Coop rosse. Insieme ai colleghi Vito De Nicola e Luigi D’Alessio, stavamo preparando lo stesso provvedimento per gli studi tecnici implicati in indagini analoghe a quelle di Nordio. Lui rispose con cortesia, ma, contrariamente alle mie aspettative, non mi invitò a Venezia per un confronto collaborativo. Non insistetti. Andammo avanti da soli, e avemmo successo investigativo, come è scritto nella storia e non come narrano, ad ogni occasione, i petulanti detrattori dei P.M. di allora. Tutto ciò premesso, va pure detto che la provocazione di Nordio sulle intercettazioni ha un suo fondamento sull’incidenza di tale mezzo di prova sulle libertà del cittadino. La comunicazione è un diritto di libertà fondamentale, che va tutelato primariamente rispetto a pur legittime e necessarie indagini. Ma col tempo, si è visto, spesso l’intercettazione trascina nel processo persone del tutto estranee all’ indagine principale. Persone che dichiarano cose che poi le porteranno all’incriminazione per fatti del tutto diversi da quelli oggetto dell’inchiesta. E’ la cosiddetta pesca a strascico, che connota in tal modo l’intercettazione non più come mezzo di ricerca della prova, ma come mezzo di ricerca dei reati. E questo non è ammissibile nel sistema nostro costituzionale. Perché la ricerca dei reati non è compito del Pubblico Ministero, che è un magistrato e quindi fa parte del Potere Giudiziario. Ma è compito della Polizia, che fa parte del Potere Amministrativo, e quindi dell’Esecutivo. Sarebbe facile e certamente utile per tutti (e Nordio dovrebbe lavorare in tal senso) un chiarimento legislativo per la limitazione dei risultati dell’indagine, con l’uso delle intercettazioni, ai soli reati e ai soli indagati per i quali il P.M. ha chiesto al GIP l’autorizzazione alla captazione dei colloqui. Torneremo presto su Nordio.
Michelangelo Russo