Serata dedicata interamente a Robert Schumann, oggi nella Chiesa di Santa Apollonia, alle ore 20, per il quinto appuntamento del Festival di Musica da Camera del Conservatorio Giuseppe Martucci
Di OLGA CHIEFFI
Stasera, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, quinto appuntamento in cartellone della IV edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e ideato dalle docenti del dipartimento di musica da camera Anna Bellagamba e Francesca Taviani. Serata monografica questa dedicata a Robert Schumann, che, sappiamo, amò dedicarsi alla musica secondo scelte di genere, coltivate lungo l’arco di periodi più o meno lunghi. Scrisse moltissimo per il pianoforte nel decennio seguente il 1830, al Lied si dedicò con entusiasmo nel 1840; il coro lo affascinò particolarmente tra il ’47 e il ’53. Così anche per la musica da camera, che lo interessò tra il ’42 e il ’53. Nel 1849, anno in cui compone i Phantasiestücke Op. 73, che ascolteremo dal duo composto dal clarinettista Francesco Pio Ferrentino e dalla pianista Rossella Giordano, Schumann è a Dresda, dove lavora come Direttore della corale “Liedertafel”. I Fantasiestücke sono pensati come un unico, ininterrotto discorso musicale, condotto sul filo di un Lied suggerito dalla voce del clarinetto e del pianoforte; i movimenti in realtà sono tre, concepiti come una progressiva accelerazione, a partire dal tono elegiaco delle battute del primo movimento, continuando nello Scherzo del secondo, fino al gioco di variazioni brillantemente innescate dall’ultimo movimento. In quest’opera l’arte di Schumann si eleva e sublima in un fuoco sacro dell’anima, nei tre pezzi in successione, il successivo sempre più veloce del precedente, in un crescendo continuo di tensioni e di conflitti, non solo musicali. Seguirà un florilegio di lieder dalla raccolta Dichterliebe op.48, proposto dal soprano Colette Manciero e dalla pianista Rossella Giordano. Il ciclo “Dichterliebe” è il tipico Lied di Schumann sia per il rapporto fra musica e parola che per l’autorità conferita al pianoforte. A lungo ci si può interrogare sulle lunghe code, e più di tutti lo fanno i cantanti, costretti a reggere il palco per lunghi silenzi, ma questo ha una sua ragione: ci si sente parte di un completo e complesso discorso musicale. Sicuramente si continua a “vivere” dentro quella musica, e l’esperienza è ancora più profonda. Gli elementi principali del Lied sono i fiori, l’acqua, gli uccelli e il loro canto, le lacrime, il sogno, l’amore – nel duplice aspetto di gioia e di paura di perderlo – e quindi il dolore, ma su tutto domina la morte, evocata in immagini e suoni, ma mai realmente presente. Finale riservato al Quintetto in Mi bemolle maggiore op.44, che verrà interpretato da Rossella Giordano al pianoforte, Jan Mleczko e Chiara Civale al violino, Francesca Senatore alla viola e Francesca Taviani al violoncello. Intere generazioni di musicisti si sono confrontate con il Quintetto con pianoforte di Schumann op. 44, uno dei vertici della letteratura musicale dell’Ottocento, e hanno provato a interpretarne variamente lo sviluppo. Il critico Hermann Abert vi ha riconosciuto la messa in scena di un dialogo, e quasi di una sfida, fra i due personaggi che rappresentavano i poli contrapposti dell’immaginario poetico schumanniano: l’impetuoso Florestan e l’analitico Eusebius. Il Quartetto pianoforte e archi è per alcuni aspetti un doppio del Quintetto: entrambi in mi bemolle, entrambi per pianoforte e archi, entrambi usano il richiamo tematico, entrambi mostrano il lato estroverso ed esuberante di Schumann. Però non sono affatto due opere gemelle. Se nel Quintetto l’equilibrio tra carattere pubblico e carattere privato pende verso il primo, nel Quartetto è il contrario. La presenza di un solo violino produce un mondo sonoro più intimo il cui più ovvio emblema è il sontuoso solo del violoncello all’inizio dell’Andante cantabile. Nell’Allegro brillante iniziale troviamo la consueta contrapposizione fra due temi ben distinti, una idea affermativa in mi bemolle e una più lirica in do minore; ma è soprattutto il rapporto di plastica integrazione fra il pianoforte e gli archi ad imporsi. Segue In modo d’una Marcia, con un sospirante tema di marcia funebre e una melodia più consolatoria, contrapposti a una sezione centrale più agitata. Dopo lo Scherzo – animato da brillantissime scale e da due diversissimi Trii – il finale, Allegro ma non troppo, è un rondò dall’intonazione entusiastica, il cui refrain possiede un che di slavo. L’ultima sorpresa di questo variegatissimo movimento è la riapparizione, con entrate in imitazione, del tema dell’Allegro brillante iniziale, a riaffermare l’unità concettuale della partitura e il debito tutto romantico verso la polifonia bachiana.