di Olga Chieffi
Si ritorna in teatro stasera, alle ore 20, per dar principio ad una ricchissima ed eterogenea seconda parte della stagione celebrativa del centocinquantenario del Verdi di Salerno, firmata da Daniel Oren. L’autunno musicale del nostro massimo verrà inaugurato dall’ orchestra Filarmonica della Scala diretta da Robert Trevino che si concederà al rigore e agli incanti del classicismo viennese. La serata verrà aperta dall’esecuzione dell’ouverture in Do Maggiore Hob.La.3, de’ L’anima del Filosofo, ovvero Orfeo ed Euridice una pagina limpida, che si rifà con eleganza alle convenzioni musicali dell’epoca, con una scrittura molto curata e dalla grande cantabilità, affidata soprattutto ai fiati. Si procederà con la Sinfonia n°2 di Franz Schubert in Si Bemolle Maggiore D125, che principia con una breve ed efficace introduzione lenta, aperta dalla contrapposizione tra i solenni accordi dei fiati e le figurazioni discendenti degli archi, seguita dall’Allegro vivace rivelante un riferimento, troppo evidente per non essere consapevole, al modello della ouverture di Beethoven per Le creature di Prometeo. Le analogie sono chiare, e giungono fin quasi alla coincidenza letterale, ma meno importanti della originalità della concezione formale di questa pagina. Colpisce la vastità stessa della esposizione, costruita a grandi blocchi, con il primo tema di impronta beethoveniana, il secondo tema “mozartiano”, poi notevolmente dilatato, e un’ampia sezione conclusiva che ripropone il primo tema. Dopo l’ampia esposizione lo sviluppo è molto conciso: sorprendente la sapiente articolazione contrappuntistica, e il disegno complessivo, senz’altro schubertiano, dal pianissimo al fortissimo e di nuovo al pianissimo. Inizia quindi la ripresa, che ripropone il primo tema non nella tonalità di inizio, ma una quarta sopra, in mi bemolle maggiore, a conferma della ricerca di novità rispetto alla forma sonata classica, forse perseguendo un colore nuovo per conferire una sfumatura diversa alla simmetria della costruzione del primo tempo. L’Andante è di estrema semplicità formale: un tema con cinque variazioni, secondo uno schema frequente nei tempi lenti haydniani. Le variazioni sono semplicissime: lasciano il tema sempre ben riconoscibile, ma giocano suggestivamente sul mutare dei colori e degli spessori strumentali, fino al dolce spegnersi conclusivo. La grazia incantata dell’Andante è evocata nel Trio del successivo Minuetto: esso può essere considerato quasi una nuova variante del tema del secondo tempo, una sorta di ripensamento, come un’eco, che crea un efficace contrasto con il vigoroso Minuetto, di raffinata semplicità. Nel Finale ritroviamo l’ampiezza di respiro, la ricerca tesa a costruire un grande arco formale, che caratterizzavano il primo tempo. La presenza di un ritmo dattilico che spesso incalza nel Presto vivace gli conferisce uno slancio propulsivo che non conosce sosta e che caratterizzerà, in modo assai diverso, il Finale della mirabile ultima sinfonia che Schubert poté finire, quella in do maggiore D. 944. Anche il finale della seconda, nonostante la prevalente leggerezza del materiale tematico, ha qualcosa che almeno a tratti rivela l’aspirazione ad un afflato grandioso, ad un ardore cavalleresco ricco di esuberante acceso dinamismo. La seconda parte del programma verrà interamente dedicata all’interpretazione della Sinfonia n. 7 in la maggiore, op.92 di Ludwig van Beethoven. La grandiosa visione di Wagner della “Settima” come “apoteosi della danza” introduce un discorso in un contesto più specificamente musicale: la “Settima” costituisce un punto di arrivo e di passaggio nello stesso tempo, che dal punto di vista formale e stilistico corona in modo del tutto particolare la conquista beethoveniana del dominio sinfonico. La continua espansione della ricerca sulle possibilità della sinfonia, quale si era concretata nella seconda maniera, approda infatti nella “Settima” a una riduzione dell’ambito formale che in sintesi, significa un passaggio di livello nel modo di considerare i rapporti e le funzioni all’interno dell’itinerario formale della grande forma sinfonica. Questo processo risulta evidente sia sul piano del carattere e del divenire dei temi, sia su quello delle loro funzioni nei rapporti di contrasto e di opposizione nello svolgimento dei quattro tempi, sia nella tecnica degli sviluppi e delle elaborazioni, sia, infine, nella ricerca sulle proprietà strutturali dei fondamenti del linguaggio; e questi non sono che alcuni, anche se i principali. Nella Settima, Beethoven realizza un decisivo passo verso un modo nuovo di concepire la musica e, in particolare, la costruzione sinfonica, fondandosi unicamente sul contrasto nel fluire del tempo degli elementi puramente musicali organizzati al loro stadio primario: essenzialmente, come successione e opposizione di ritmi. Il ritmo è il fondamento strutturale che sta alla base della Sinfonia e che, materializzandosi, ne riempie di contenuto formale lo schema astratto che Beethoven derivava dalla tradizione. Più importante è, forse, ribadire come in questa Sinfonia sia superato ogni concetto di contrasto tematico, perché non esistono temi come individualità distinte e autosufficienti in lotta fra loro, e perfino sia abbandonata la traccia convenzionale dell’itinerario tonale, anch’essa come travolta nell’incessante divenire ritmico: lo sfruttamento delle possibilità connesse alla articolazione ritmica secondo un principio che si potrebbe definire di «variazione integrale», da una parte, la loro organizzazione in funzioni e relazioni che esse stesse concorrono a creare, dall’altra, concetti fondamentali che informano la struttura di questa splendida pagina.