La formazione di corni di bassetto e clarinetti composta da Alessandro Carbonare, Giuseppe Muscogiuri e Luca Cipriano, hanno stregato l’attento uditorio del primo appuntamento in cartellone dell’Accademia “Jacopo Napoli”, firmato da Giuliano Cavaliere
Di Olga Chieffi
Una formazione inconsueta, composta da Alessandro Carbonare, Giuseppe Muscogiuri e Luca Cipriano, i quali si sono alternati ai corni di bassetto, al clarinetto in Si bemolle e al clarinetto basso in Si Bemolle, ha stregato il pubblico del concerto inaugurale della stagione musicale dell’Accademia “Jacopo Napoli”, firmata da Giuliano Cavaliere. Riflettori del Complesso di San Giovanni di Cava de’ Tirreni, puntati sul clarinetto nei suoi suoni e nelle sue espressioni, a cominciare dal Divertimento per tre corni di bassetto, K439b, un assaggio di soli tre movimenti riconducibili a fantasiose e iniziatiche riunioni musicali. E’ l’invenzione della gioia questa del nostro Wolfgang Amadeus Mozart, il primo a lanciare il suono dell’intera famiglia dei clarinetti, il quale riguardo questa pagina, come scrive Hildesheimer sembra ci fossero ore in cui il genio di Salisburgo si abbandonasse al gusto di tentare particolarissime combinazioni di fiati, un “gioco” senza scopo, se non per puro piacere di suonare, con sempre nuovi “giocatori” e sempre nuove combinazioni. Un’interpretazione nel suo complesso entusiasmante sotto il profilo dell’invenzione musicale, dell’intenzione comune, della vividezza del senso ritmico, in cui anche i passaggi più ordinari, tenuto conto che questo strumento è di difficile intonazione, sono stati risolti con dedizione e una tensione esecutiva esemplare. A seguire una pagina contemporanea, composta dalla pianista Stefania Tallini, C19, evocante quel tempo infausto e angosciante del Covid 19, in cui Alessandro Carbonare ha impugnato il clarinetto in Si Bemolle, Luca Cipriano il clarinetto basso e Giuseppe Muscogiuri, con il corno di bassetto. Ritmi particolari, mera, empatia dialogica, eleganza sottile, ricerche di sfumature di logica, intuizione, disposizione al rischio improvvisativi, chiarezza d’enunciazione e di articolazione, sono le basi del credo artistico di Stefania, per la quale suonare è comunicare e la Tallini si preoccupa di far intendere chiaramente cosa vuole esprimere, rivelando un piccolo miracolo di equilibrio, senza mai tradire qualche granello di creativa follia, che ha certamente ritrovato nei tre componenti del trio, capaci di muoversi, come lei, su coordinate aperte, ma insieme basate su di una solida esperienza e una profonda conoscenza storica. Entra in campo il compositore di corte Luca Cipriano, il quale ha elaborato per questo trio delle meraviglie un portrait di Chick Corea, su tre temi celeberrimi, a partire da Armando’s Rumba, quindi Song for Sally e Spain che ci ha consentito di apprezzare il suo attaccamento alla tradizione, come pure un jazz sofisticato ed elegante o, più spesso, teso e vibrante, sostenuto sempre da un touch molto presente e definito, di sostanza e corpo, con progressioni melodiche, ritmiche spezzate e sostenute da una raffinata ricerca armonica dalle radici classiche, baricentro di un leader, che manifesta di avere una cultura che va ben oltre il jazz, quella tendenza alquanto rara nel panorama musicale in genere, spesso chiuso per generi e classificazioni. Il trio delle meraviglie ha continuato a giocare sulla scia di Corea, con il clarinetto basso che ha fatto la parte del leone in particolare in Armando’s Rumba dispiegando tutto il ventaglio delle nuove tecniche dai doppi e tripli suoni alla abituale, per tutti e tre respirazione continua, in un miracolo di virtuosismi e improvvisazione. Nell’eterna disputa sulla collocazione di George Gershwin – jazz? Musica colta? Musica leggera? -, i contendenti appaiono spesso maneggiare categorie astratte. Per l’uomo della strada, la musica di Gershwin è “jazz”. I jazzisti, a sentirlo dire, sghignazzano: Gershwin scrisse molte canzoni su cui è stimolante improvvisare, ma non fu un jazzman, non ne aveva i titoli tecnico-formali. In ambiente colto, si preferisce dire che Gershwin operò la sintesi del jazz con la musica colta. In effetti, la sua opera fu una riflessione sulle contraddizioni di un’epoca in cui la cultura scritta cominciava a sentirsi assediata e accerchiata dalle culture orali di tutto il mondo. Il trio ci ha proposto i primi dei Three Preludes datati 1926 il primo, Allegro ben ritmato e deciso, in Si Bemolle Maggiore, con le sue cinque note blues, su cui si basa l’intera melodia, sfociante, però nel ritmo di bajao, il secondo, Andante con moto e poco rubato è in do diesis minore, e ha il sapore ben riconoscibile del jazz, fatto di miele e di fumo. Mediterraneo e tanti pensieri marittimi per due brani Pizzica e Taslim di Vincenzo De Filippo, in cui Giuseppe Muscogiuri non ha potuto fare a meno di prendere tra le mani un tamburello per accompagnare la pizzica salentina lui che è di quella terra, prima di attaccare il ritornello, Taslim, del Samai un’antica composizione musicale di origine turca, appartenente alla musica colta, ripresa e quindi perfezionata dagli arabi. Nel suono del trio un assemblaggio nuovo dei frammenti del tempo, un paradigma del nostro Mediterraneo. Finale con Variazioni e improvvisazioni su “Russian Melody” e “Odessa Bulgarish”, musica klezmer, ispirata alle danze e alle canzoni ebraiche dei klezmorim dell’Europa orientale, una sorta di viaggio nella cultura musicale Yiddish, un’indagine nelle pieghe più ascose di questa musica, attraverso una “conversazione ragionevole” quale è stata quella del nostro trio delle meraviglie. Applausi scroscianti e standing ovation del pubblico in sala, ricambiato con il terzo preludio di George Gershwin, un tempo Agitato in mi bemolle minore con le due melodie che giocano a rimpiattino per tutto il pezzo.