di Alfredo De Falco
Ritroveremo nella sezione ottoni della grande orchestra del festival di Sanremo, Enzo De Rosa, trombonista di Vietri sul Mare diplomatosi presso il Conservatorio di Salerno, il quale ha all’attivo numerosissime trasmissioni Rai e Mediaset, collaborando con direttori d’orchestra del calibro di Mauro Pagani, Peppe Vessicchio e tanti altri, registrando anche colonne sonore con artisti di chiara fama come Nicola Piovani, Luis Bacalov e le più prestigiose firme del cinema italiano, suonando anche in numerosi festival jazz. Lo abbiamo raggiunto in un momento di tregua dalle prove, alla vigilia dello start della kermesse canora. Enzo, lei è un veterano dell’Ariston. A quanti festival ha già collaborato? Ho iniziato a suonare nell’orchestra dell’Ariston nel 2002. Adesso, pur non avendo partecipato tutti gli anni, sono al mio nono Sanremo e nel 2010 sono stato ospite collaborando per un progetto musicale di Arisa. Cosa spinge un musicista che si forma presso un’istituzione classica a orientarsi verso l’ambito pop? È una passione che ho fin da piccolo, quando in tv guardavo l’orchestra della Rai. All’inizio è stato mio nonno a incoraggiarmi, così ho iniziato a studiare trombone con Umberto Vassallo, al quale sarò sempre grato per avermi fornito la giusta preparazione per l’ammissione in conservatorio. Successivamente sono passato sotto la guida del maestro Bernardo Ferrara, ma ho sempre avuto chiaro il mio orientamento verso il pop. Qual è il ruolo del trombone negli arrangiamenti delle canzoni di questo Sanremo? Ci sono solo accompagnamenti o anche assoli? A Sanremo il trombone viene utilizzato quasi sempre nel modo classico, tranne qualche caso. Quest’anno l’eccezione è la canzone di Morandi, dove suoniamo parecchio. Per il resto non ci sono assoli. Durante il festival la disposizione dell’orchestra è diversa dalla formazione classica. Siete distanziati fra voi strumentisti e col direttore. Che tipo di difficoltà si incontrano? Innanzitutto aggiungo che oltre alla distanza, siamo anche divisi dal plexiglass a causa del covid. Le difficoltà ci sono e si affrontano con l’esperienza e la disponibilità. Il ruolo principale è svolto dalle prove che, sembrerà assurdo, ma sono poche. Abbiamo iniziato il 30 dicembre, ma il materiale musicale non si limita solo alle canzoni degli artisti in gara. Quindi serve praticità e molta attenzione al gesto del direttore. A proposito del direttore, a volte nei teatri lirici rischia di essere contestato dall’orchestra. È una dinamica che accade anche a Sanremo? Noi siamo liberi professionisti e dobbiamo garantire tutta la serenità possibile per mettere nelle condizioni migliori di far fare a ognuno il proprio lavoro. Si tratta di un gioco di squadra che ha l’unico scopo di risolvere i problemi, quindi prevalgono sempre il sentimento di amicizia e il senso di unione della musica. Fare questo a Sanremo è il top. Il festival è un evento trasmesso in mondovisione. Come gestisce l’ansia, soprattutto negli assoli? L’ansia si vince con l’esercizio continuo per sempre migliorare la pratica strumentale. Io, poi, ho sempre bisogno di suonare perché per me la musica è come l’aria, ed è la costanza che fa superare tutti gli ostacoli. E’ un habituè a Sanremo. C’è un ricordo particolare ha voglia di condividere con noi? Ricordi ne ho tanti soprattutto con ospiti internazionali, ma l’evento che mi ha colpito in modo particolare è triste. Risale al primo anno, il 2002, quando ho perso mia nonna e non sono potuto andare a Vietri per salutarla l’ultima volta perché ero qui a Sanremo. È un’emozione talmente grande che non riesco ad aggiungere altro. Un’ultima domanda. Chiederebbe qualcosa in particolare all’organizzazione del festival o si trova già pienamente a suo agio? Chiederei all’organizzazione di fare 3 o 4 festival all’anno! Scherzi a parte, sono molto fortunato a lavorare con la Rai. È un periodo molto brutto e difficile per tanti amici musicisti ai quali esprimo tutta la mia solidarietà.